A partire dai primi esempi di video arte, realizzati nei primi anni ’60 da Nam June Paik, questa disciplina ha visto un’incessante evoluzione sia in termini di supporti che di materiali impiegati. Dalla proiezione a circuito chiuso al riassemblaggio di filmati già esistenti, passando per la registrazione e il montaggio di materiali originali, la video arte è in continua evoluzione, soprattutto grazie alle innovazioni tecnologiche che permettono una sperimentazione sempre maggiore. 

In quest’ottica, un’opera che esula dalla semplice proiezione video tradizionale è The Clock dell’artista svizzero-americano Christian Marclay. Presentata al pubblico nel 2010, dopo  tre anni di lavorazione, l’opera si è aggiudicata il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2011. Con una durata complessiva di 24 ore e migliaia di spezzoni tratti da film e serie tv, The Clock è considerata «un’opera d’arte monumentale del ventunesimo secolo per portata, laboriosità e che aspira ad essere una riflessione totale sulla temporalità nel cinema narrativo» (Horwatt, 2013). Per la creazione dell’opera, infatti, Marclay ha lavorato con sei assistenti che hanno visionato migliaia di film e serie tv per selezionare gli estratti da utilizzare.

 

Christian Marclay, The Clock, 2010, Single-channel video installation, Duration: 24 hours, © Christian Marclay. Courtesy White Cube, London and Paula Cooper Gallery, New York.

 

Ciò che più di tutto differenzia The Clock da altre opere analoghe per durata come per esempio 24-Hour Psycho di Douglas Gordon è l’impiego di un complesso programma informatico grazie al quale la proiezione del video inizia da qualsiasi momento del film corrisponda al tempo reale, in base al fuso orario della visione. Se siamo in Italia, quindi, come nel caso della Biennale del 2011, e sono le dieci del mattino, il film partirà automaticamente dalla decima ora, e nello specifico con un estratto di The Assassination of Richard Nixon (Niels Mueller, 2004). Codificato dal professore della Goldsmiths University di Londra Mick Grierson, questo programma, unito alla presenza ricorrente di orologi e strumenti di misurazione temporale sullo schermo, rende lo spettatore «simultaneamente consapevole e ignaro del passare del tempo» (Levinson, 2015), e così facendo mette in discussione la natura contingente del tempo e della nostra percezione di esso. The Clock si discosta dalle comuni proiezioni pubbliche anche perché il tempo di visione è del tutto arbitrario e viene deciso dal visitatore stesso. L’opera, infatti, non è pensata per essere vista nella sua interezza come un film canonico, ed è per questo che viene presentata nei musei senza soluzione di continuità.

 

Christian Marclay, The Clock, 2010, Single-channel video installation, Duration: 24 hours, © Christian Marclay. Courtesy White Cube, London and Paula Cooper Gallery, New York.

 

La sincronicità tra la proiezione e il tempo reale è sottolineata anche dalle azioni che si svolgono sullo schermo, infatti durante la notte vi sono per lo più personaggi che dormono o sognano, mentre la mattina presto li vedremo fare colazione o affrettarsi a prendere un treno. Questa logica di azioni quotidiane viene meno solamente in due momenti nel corso delle 24 ore di proiezione, cioè a mezzogiorno e a mezzanotte. È soprattutto poco prima della mezzanotte che i vari spezzoni si susseguono in modo sempre più pressante, culminando con un estratto del film The Stranger, girato da Orson Welles nel 1946. La sequenza proiettata è il punto culminante di questo film noir in cui il protagonista, ovvero il criminale nazista Franz Kindler impersonato dal regista stesso, muore accidentalmente pugnalato dalle statue decorative di una torre a orologio. Lo spezzone immediatamente successivo, invece, è tratto dal film del 2005 V for Vendetta, diretto da James McTeigue. Nello specifico, viene mostrata l’iconica scena finale della pellicola in cui un’esplosione distrugge il Big Ben di Londra.

 

Christian Marclay, The Clock, 2010, Single-channel video installation, Duration: 24 hours, © Christian Marclay. Courtesy White Cube, London and Paula Cooper Gallery, New York.

 

La violenza, esplicita e non, di queste due scene montate in rapida successione, rivela uno dei temi principali di The Clock, ovvero la morte. È l’artista stesso, infatti, a definire l’opera «un gigantesco memento mori» (Thorthon, 2015). La continua presenza di orologi che contribuisce a sensibilizzare lo spettatore all’inevitabile e incessante scorrere del tempo è di per sé un’implicita allusione alla morte, resa ancora più palese dal repentino invecchiamento degli stessi attori che compaiono più volte in estratti di film differenti nel corso delle 24 ore. Un esempio è il caso dell’attrice francese Catherine Deneuve, che si vede per la prima volta come una ragazza ventunenne nella scena tratta dal film Repulsion di Roman Polanski del 1965, e ricompare ore dopo come donna di mezza età in un estratto di My Favorite Season di André Téchiné del 1993. Ricorrente è anche l’immagine della sigaretta accesa che si consuma, utilizzata a sua volta come memento mori; infatti, come spiega Marclay «la sigaretta accesa è il simbolo del tempo del ventunesimo secolo. Come memento mori eravamo abituati a usare una candela, ma la sigaretta è molto più moderna vedi il tempo bruciare» (Zalewski, 2012).

 

Christian Marclay, The Clock, 2010, Single-channel video installation, Duration: 24 hours, © Christian Marclay. Courtesy White Cube, London and Paula Cooper Gallery, New York.

 

The Clock è un mastodontico lavoro di ricerca filmografica che però trascura volutamente l’aspetto narrativo proprio del cinema. Gli estratti dei vari film sono montati con la tecnica del collage visivo e assemblati seguendo una logica temporale che rifiuta la linearità della trama. La giustapposizione di spezzoni, tratti da diverse fonti note, mette in crisi la conoscenza pregressa che lo spettatore ha dei lungometraggi citati, rendendo vano ogni tentativo di prevedere l’evolversi della proiezione. È in questo senso che Marclay usa il collage facendo leva sull’aspetto mnemonico della visione, puntando quindi a un riconoscimento delle fonti stesse che subiscono poi una trasformazione in termini di aspettative e significato.

Christian Marclay, The Clock, 2010, Single-channel video installation, Duration: 24 hours, © Christian Marclay. Courtesy White Cube, London and Paula Cooper Gallery, New York.

 

Definito un «collagista postmoderno» (Levinson, 2015) Marclay crea in The Clock una vera e propria anti-narrazione che impedisce al visitatore di trovare una coerenza di significato tra le immagini proiettate. Si può parlare, quindi, di quelle che il filosofo Gilles Deleuze chiama immagini-tempo, ovvero immagini che richiamano l’attenzione sul flusso temporale e sulla durata, aprendo un ventaglio di infinite possibilità che rendono inutile ogni sforzo di prevedere gli eventi che seguiranno. La coerenza dell’opera, infatti, è data dall’attenersi alle coordinate temporali convenzionali invece che seguire una logica basata sull’evolversi della trama.

The Clock è uno degli esempi più complessi della pratica del collage nella video arte contemporanea, sia in relazione alla quantità di materiali grezzi utilizzati, sia per il rapporto con il concetto di tempo-reale, ed è uno dei più rilevanti casi studio della disciplina. Non è mai stata resa pubblica dallo studio di Marclay una lista ufficiale ed esaustiva dei film che compongono l’opera, ma il contributo di cinefili e appassionati ne ha reso possibile la compilazione di un elenco parziale, consultabile su theclock.fandom.com.

 

Christian Marclay, The Clock, 2010, Single-channel video installation, Duration: 24 hours, © Christian Marclay. Courtesy White Cube, London and Paula Cooper Gallery, New York.

 

 

Bibliografia 

Horwatt, E. (2013), ‘On The Clock and Christian Marclay’s Instrumental Logic of Appropriation’, Framework: The Journal of Cinema and Media, 54 (2). Disponibile su: https://www.jstor.org/stable/10.13110/framework.54.2.0208 (Accesso: 19 maggio 2023)

Krauss, R. E. (2011), ‘Clock Time’, October 136. Disponibile su: https://www.jstor.org/stable/23014881 (Accesso: 19 maggio 2023)

Levinson, J. (2015), ‘Time and Time Again: Temporality, Narrativity and Spectatorship in Christian Marclay’s The Clock’, Cinema Journal, 54 (3). Disponibile su: http://www.jstor.com/stable/43653437 (Accesso: 19 maggio 2023)

Ross, C. (2012), The Past is the Present; It’s the Future Too. The Temporal Turn in Contemporary Art, Continuum, New York

Thorthon, S. (2015), 33 Artists in 3 Acts, Granata, Londra

Zalewski, D. (2012), ‘The Hours’, The New Yorker. Disponibile su: https://www.newyorker.com/magazine/2012/03/12/the-hours-daniel-zalewski (Accesso: 19 maggio 2023)

 

Biografia

Diletta Piemonte (Vicenza, 1996) è curatrice indipendente e art advisor; attualmente collabora con la galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea di Milano, dove vive dal 2018. Ha lavorato presso le Galleria dell’Accademia di Venezia e Flash Art magazine, continuando in parallelo con la sua attività di curatrice indipendente e autrice di testi critici, collaborando con la curatrice indipendente Amina Berdin.