Con l’intensificarsi della produzione di creazione sintetica, le prime ferite da agenti chimici cominciano a materializzarsi sul corpo e nella mente. La follia da sdoppiamento, le falle dei sistemi empatici e affettivi si traducono in glitch congeniti nel cyborg, in errori di sistema. Durante la clonazione del tubo digerente si avvertono i primi sentori della perdita di controllo, attraverso il disgusto derivante da moti dell’intestino contrari ai movimenti naturali della digestione, una repulsione che si trasforma in piacere per l’ignoto, in desiderio per il vuoto, buco nero prolifico che si proietta nel tubo digerente inutilizzato di un clone cibernetico.

 

In principio era un tubo  

Il mio lavoro, come qualunque altra operazione, è il risultato di un processo cumulativo di intuizioni. Ogni operazione è il risultato di una serie di numeri mixati a ingranaggi e fantasia, che complessivamente funzionano. Ecco perché tutto procede lentamente. Ci prendo un certo gusto. Questa mattina mi sono riempitə di cerotti le dita rotte dagli acidi e dalle fusioni. 

Il laboratorio comincia a puzzare irreversibilmente di metallo sciolto e zolfo, e l’odore leggermente affumicato si sta incollando sull’acciaio dei miei strumenti quasi fosse il loro sudore. Non passa più a trovarmi nessuno: un ordine restrittivo silente emana dal mio corpo senza che io possa farci nulla. Ben venga.
Il tempo passa senza orologi. Un tempo che non guarisce ma complica, giusto quanto basta per lasciare che le idee si attorciglino in testa e che i nodi si stringano tra loro. Sono più determinatə e sudatə che mai. Mi sembra di non fare sesso da tutta la vita, o forse di non aver mai fatto sesso. 

Mi concentro.
Imposto le coordinate sugli schermi: generatore in funzione, codici corretti. Sintonizzo i modulatori, ricarico, scaldo. Il corpo androide sta cominciando a prendere forma e a comporsi dei primi organi. Mi alzo e mi allungo sul corpo meccanico sotto di me. Inserisco all’interno del suo stomaco un modulatore dell’umore, una rotatoria e un inibitore talamico. Ogni stomaco ha le sue necessità imprevedibili, ma siccome questo è il mio cyborg e le imprevedibilità mi fanno schifo, agisco in modo da non avere sorprese. Posso avere il controllo? E controllo sia. Ci piazzo dentro anche uno stimolatore del buongusto: non c’è limite ai vizi. Sarebbe bastato digitare un codice. Stavo scoprendo nuovi modi di programmare il tessuto bio-selettivo e tutte le venature muscolari che compongono gli organi umani. Sono un amatorə delle forme della natura, così tondeggianti, funzionali, perfette per il loro compito, che dissipano zero energia. Le copio metodicamente. Un intero organo umano contiene circa 100 miliardi di cellule e un numero di connessioni nell’ordine di almeno una quindicina di zeri. Io ho la metà dello spazio per ricreare queste connessioni e circa un terzo del tempo che avrei voluto. Sono sudatissimə

 

PROGRAM ON – day 3 – bias s.s1

START

 

Il tubo non lo devi solo sentire, lo devi volere

Devi volere ogni lembo di vita e di pelle che possiedi, devi bramarlo con ogni cellula. 

Scossa elettrica. 

1 0 1 0 0 101 0 10 10 10 10 101010000110 10 101 00

Ciò che scrivo è un disegno elettronico di bit infrarossi criptati. 

Assomiglia molto al fascino delle parole di cui ho da sempre un bisogno costante. Stai un po’ zittə quando non hai nulla da dirmi. Al momento,  consumarmi è l’unico modo che conosco per instaurare un rapporto con il futuro. E, per farlo, mi pongo dietro a ciò che sta dietro al pensiero. Sono in un nuovo stato di contrazione. Nell’aria si diffondono i miei dati più intimi e disfatti. Mi muovo completamente all’interno della mia zona d’urto: provo fastidio.

Controllo i cerotti sulle dita, la cui colla e il sangue coagulato piano piano colano sul tavolo da lavoro. 

Qual è la combinazione del piacere?
E quella della disperazione?
È una domanda che in me si autoperpetua: ci sarà pure un codice nella corteccia cerebrale che compone il codice stesso del desiderio di ricodificare il piacere. In parole povere, il motivo della mia patetica misericordiosa frustrazione.
L’assenza assoluta di affetto percepita nell’ultimo periodo della mia vita può essere considerata anch’essa sintomo della malattia che suppongo mi affligga. Secondo me no, però forse, tendenzialmente, non lo so. Se sei un tipo sufficientemente sveglio, riesci a capire che l’assenza di un tubo adeguato potrebbe portare te e i tuoi simili cyborg all’estinzione. 

Riparto da qui. Quale gaia disperazione. 

Ero inebriatə dal senso di potenza che la costruzione irrorava in me. Eravamo io, gli strumenti, il laboratorio e il mio odore. E poi la musica, il tempo che non passava. Il mio corpo, il suo corpo. Il mio stomaco e i suoi tubi. Tutto era vivo o in prossimità di esserlo. Quella complessità meccanica era ebbra della mia soddisfazione simulata, i circuiti elettronici cominciavano a dare segni di eruzione. I granelli di pulviscolo mi apparivano anch’essi radioattivi e filtravano una luce senza emittente. 

Come si entra in uno stato metafisico, da sazi o da affamati? 

C’è un limite di tolleranza nei confronti della digestione. Possederla completamente è immorale. 

Hai voglia di poco? Ecco il poco 

Hai voglia di petto? Ecco il petto 

Hai voglia di tetano? Ecco il tetano

Il nastro girava a suon di sussurri sensuali e mi deliziava ancor più del mio lavoro. La piccola disfunzione era parte dei circuiti viziosi. 

Cosa vuol dire entrare in confidenza?

Come si fa a sentirsi confortevoli?

Non mi fate queste domande per favore. Non a me, che da grande volevo fare il naufragə

Mi fermo un attimo, solo per bere qualcosa di gelido e sistemarmi i cerotti sulle dita.
Mangio un uccello, ho voglia di proteine di carne cruda. Vorrei che tu fossi più fotogenicə. Vorrei capire con quali criteri i millenni hanno saputo lavorare di selezione naturale. Mi spieghi cosa vuol dire “naturale”? Lo domando per questo, facciamo un esempio pratico: il nostro modo di stare insieme in questi giorni è stato naturale, secondo te? 

Il tubo aveva assunto le sembianze di un tubo.  Di metallo flessibile, fatto di valvole, fibre e nervi tesi. Un esempio millimetrico di plasma cibo-tropico e fecondante. Sentivo i nostri corpi connessi e li sentivo compiere tutti e sette i peccati capitali simultaneamente. Che energia, che potenza, che disgusto. Il problema del mio tubo era lo spazio vuoto, quella backdoor in cui di base dovrebbero circolare i globuli. Lo spazio vuoto obliquo e ondulato all’interno e liscio all’esterno, pieno di terminazioni ipersensibili. Dovevo riempirlo, ma di cosa? Di lacerti scelti a caso? Di connessioni disobbedienti? Forse di un apparato fatto di tubi da cui tutto esce e tutto entra, in cui le cose scorrono, schizzano, sporcano e odorano di incendio spento (o inestinguibile) del piacere.. 

La mia è solo avida intensità. Mi concentro soprattutto sul mio desiderio, perché di questo si tratta: tentare di produrre qualcosa che mi porti al godimento. Sto iniziando a borbottare, me ne rendo conto. Mi sento spesso come se fossi un refuso di me stessə

Gocce lipidiche scendono dal tubo e cadono a terra, sporcando il pavimento del laboratorio. L’ossigeno viene a mancare. Raccolgo una valvola da terra, che avvito tra l’esofago e il cardias. Rivesto il tutto con colla e strutture fibrose. La montatura è collegata ai neuroni tramite cavi catodici.

Procedo montando i tubi del duodeno e dell’intestino tenue. 

Quasi dimenticavo: il nastro audio. Apro la cassetta, lo trovo e lo monto al suo posto. Ora sembra tutto interconnesso e simmetrico. 

Il mio principio cominciava laddove il tubo esisteva. Quello spazio di nulla non era né vuoto né vacuo: nominava solo se stesso e la sua volontà. 

Anche se apparentemente non c’era niente da vedere, esso era pieno e denso come un uovo sodo. Era soddisfazione assoluta. Non desiderava niente, non percepiva niente, non rifiutava niente. Eri tu a comandarlo, eri tu a interessarlo a qualcosa. 

Lui esisteva se tu esistevi. 

Il tuo disgusto aveva un inizio percettibile ma non chiassoso, che risaliva alla notte della tua nascita come entità. 

La materia cava di questo tubo che ho davanti suscita in me una perturbante profondità e una magnificenza che tende al delirio. Ancora non so dire con esattezza. La mia costruzione ha il fascino dell’inesistenza. Vorrei poter non trattenere nulla, filtrando però tutto l’universo. Eppure sono molle, sono flessibile. Sono inerme, sono sudatə

Mi penso come una tensione superficiale, quella che solo l’acqua possiede. Un’esistenza di superficie che permette di inabissarsi trattenendo il respiro per un tot. 

Vorrei essere coesə come le molecole di un liquido e vorrei attrarre la soluzione ai miei incalcolabili errori di sistema. Vorrei risultare esattə come è esatta la CPU che sto inserendo.

Ecco che il mio corpo elettrico, in un click, tremò.

La digestione era quasi terminata.

Lui funziona. Ma cazzo, mi ha sputato in un occhio.

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Matilde Crucitti

Laureata presso l’ABA di Bologna, attualmente frequenta il biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali alla NABA di Milano, focalizzando la sua ricerca sull’arte contemporanea e sul cinema.