Siamo alla fine degli anni ’80 alla Goldsmiths University di Londra, il teatro che vede la nascita degli Young British Artists (YBA), un gruppo di artisti con protagonista il giovane Damien Hirst e al quale partecipano anche importanti figure come Tracey Emin, Angela Bulloch e Jenny Saville. Con una poetica caratterizzata dall’uso delle shock tactics e di materiali di scarto da fonti disparate, gli YBA iniziano a guadagnare un risonanza sempre maggiore grazie a collettive come Freeze (1988), curata dallo stesso Hirst, seguita per importanza da Sensation, che nel 1997 mette in mostra opere dalla collezione privata del gallerista Charles Saachi.

Tra i partecipanti alle esposizioni organizzate da Hirst e dagli YBA spicca la giovane artista Sam Taylor-Wood – oggi conosciuta come Sam Taylor-Johnson. Dopo aver conseguito la laurea al Dipartimento di Scultura della Goldsmiths nel 1990, Taylor-Johnson inizia a sperimentare con diversi medium, sviluppando una particolare inclinazione per la fotografia e il video, che vede come linguaggi affini ma con differenti caratteristiche, in termini sia tecnici sia concettuali. Secondo l’artista «il processo di realizzazione dei film o delle fotografie è quasi identico. Entrambi richiedono una quantità spropositata di organizzazione […]. Ci vogliono da un mese a sei settimane per la parte iniziale del processo, tutto per un solo giorno di esecuzione. La differenza tra i due media è che li vedo a velocità diverse. Con i film sono molto veloce. Con le fotografie mi do il tempo di calmarmi» (Ferguson, 1998).

Uno dei suoi primi lavori fotografici è Fuck, Suck, Spank, Wank (1993), in cui già compaiono alcuni dei temi che si riveleranno ricorrenti in tutta la sua produzione artistica. Fuck, Suck, Spank, Wank è un autoritratto che mostra l’artista con i pantaloni abbassati all’altezza delle caviglie, mentre indossa una t-shirt con stampato quello che sarà poi il titolo del lavoro. Taylor-Johnson pone una particolare attenzione alla sua posa: un chiaro e deliberato rimando alla celebre scultura greca della Venere di Milo. Questa operazione riflette le parole del semiologo Roland Barthes (2000), quando sostiene che l’atto di posare di fronte da una macchina fotografica implica una trasformazione attiva del corpo in immagine. Nonostante Fuck, Suck, Spank, Wank sia parte della prima produzione di Taylor-Johnson, il lavoro già rivela una delle principali tematiche della sua pratica artistica: la riappropriazione e la manipolazione di opere preesistenti, nello specifico quelle realizzate dai cosiddetti Grandi Maestri. 

 

Sam Taylor Johnson, Fuck, Suck, Spank, Wank, 1997, screen video

 

Il termine si riferisce ai maggiori artisti che sono vissuti e hanno lavorato tra il tredicesimo e il diciottesimo secolo, tra cui – citando alcuni dei riferimenti principali di Taylor-Johnson – Simone Martini, Leonardo da Vinci, Michelangelo e Paolo Uccello (Celant, 1998). Le allusioni alla storia dell’arte tradizionale compaiono in molte altre opere dell’artista britannica, sia in quelle fotografiche sia nei video. 

Un esempio significativo dell’approccio artistico di Taylor-Johnson – che si potrebbe definire ricreazionista più che riappropriazionista, in quanto al primo recupero di un’iconografia tradizionale segue la costruzione ex-novo di personaggi e di contesti – è l’opera fotografica Wrecked (1996), il cui principale riferimento, nonché punto di partenza, è l’Ultima Cena (1494-1498) di Leonardo da Vinci. L’artista ne richiama l’ambientazione storica e lascia immutata la composizione formale, ma senza creare una sovrapposizione visiva o di significato: Taylor-Johnson sostituisce la figura centrale di Cristo con una donna a petto nudo circondata da soli uomini vestiti, la cui posa e luce richiamano i corpi femminili caravaggeschi. La storica Stefanie Kappel (2007) ha ipotizzato che Wrecked prenda come riferimento non solo la famosa opera di da Vinci, ma che siano presenti anche rimandi a Some Living American Women Artists / Last Supper (1972) dell’artista americana Mary Beth Edelson. Questo lavoro interviene direttamente su una riproduzione dell’Ultima Cena, sostituendo i volti di Gesù e degli apostoli con quelli di alcune figure femminili del panorama artistico. In questo modo, l’opera si pone dichiaratamente come una critica al patriarcato, in relazione sia al mondo dell’arte – ben poche delle artiste rappresentate erano conosciute nel 1972 – sia alla società in senso generale.

 



Sam Taylor Johnson, Wrecked, 1996, c print

 

Per quanto riguarda la produzione video di Taylor-Johnson, una delle opere che si inseriscono perfettamente nel filone di riferimenti ai Grandi Maestri è Pietà del 2001. Il video, registrato in tempo reale e quindi senza alcun tipo di montaggio, ritrae l’artista stessa – che all’epoca era in una fase di convalescenza a seguito di un cancro al seno – come Vergine Maria che regge tra le braccia, con una visibile e crescente fatica fisica, il corpo a peso morto dell’attore Robert Downey Jr. – che stava terminando un percorso di riabilitazione a seguito dell’abuso di droghe – nei panni di Cristo. La composizione dei due corpi riproduce l’omonima scultura di Michelangelo (1499) e richiama l’iconica performance di Marina Abramović del 1984, anch’essa con lo stesso titolo.

I riferimenti trasversali presenti nella produzione artistica di Taylor-Johnson attraversano la storia dell’arte e ri-attualizzano iconografie profondamente radicate nell’immaginario collettivo.

La stretta relazione tra video, fotografia e pittura è centrale nella pratica di Taylor-Johnson. La studiosa Joanna Lowry (2005) sottolinea come l’opera dell’artista britannica ricorra a ritratti cinematografici o video fissi, che hanno la classica impostazione di una fotografia in studio e registrano una posa statica per un tempo variabile, da pochi secondi a diverse ore, proprio come in Pietà. Secondo Lowry (Ibidem), «questo tipo di lavoro assume tutte le convenzioni della fotografia fissa in termini di inquadratura, ma la estende nel tempo, rifiutando un’immagine fissa come risultato finale conservando la temporalità della posa». I video di questo genere sono caratterizzati dalla posizione statica del medium di registrazione e da un’accurata messa in scena del soggetto scelto.

 



Sam Taylor Johnon, Pietà, 2001, still dal video

 

Tutte le caratteristiche proprie del lavoro di Taylor-Johnson sin qui descritte sono presenti nell’opera Still Life, registrata nel 2001 e della durata di tre minuti – la controparte di A Little Death (2002), che segue una logica affine anche se si incentra su un altro soggetto. Il posizionamento fisso del medium non consente alcun cambiamento in termini d’inquadratura, che insiste su un piatto di vimini con della frutta fresca ripresa mentre marcisce progressivamente. Il video è presentato come un time-lapse, una pratica di ripresa che propone una versione velocizzata del materiale registrato in tempo reale, creando uno scollamento tra la temporalità del video e quella dell’atto fisico della registrazione. Attraverso l’impiego del time-lapse, il deperimento della composizione di frutta risulta ancora più disturbante a causa del suo rapido progredire. Lo scostamento temporale è rinforzato dalla presenza nell’inquadratura di una penna a sfera in plastica, che rimane inalterata mentre la frutta deperisce. La scelta di lavorare su un soggetto biodegradabile suggerisce un’analogia con il naturale processo fisiologico cui è soggetto il corpo umano, sia in termini di decadenza del corpo stesso come conseguenza di crescita e invecchiamento sia nel progressivo decomporsi dopo la morte. La presenza di un oggetto in plastica enfatizza l’idea di caducità e sottolinea la natura effimera della condizione umana, ponendosi quasi come una profezia del nostro inevitabile destino.

 

Sam Taylor Johnson, Still Life, 2001, still dal video

Il titolo dell’opera ha diversi livelli di significato e la sua analisi risulta importante per una comprensione più profonda dell’opera. Il termine still life, in italiano natura morta, storicamente fa riferimento al genere pittorico che ritrae esclusivamente oggetti inanimati – prevalentemente frutta, carni, pesci, fiori e articoli generici di uso quotidiano – su un fondo neutro. Uno degli esempi più conosciuti del genere è la Canestra di Frutta, realizzata da Caravaggio nel 1599. Conosciute più tardi anche come natures mortes, nel corso del diciassettesimo secolo questa definizione è stata sempre più spesso associata ai concetti di decadenza e di morte, risultando in un sotto-genere chiamato vanitas e interpretabile come una forma di memento mori. Taylor-Johnson nella sua opera intende fare riferimento a questi concetti sia dal punto di vista concettuale sia da quello visivo. 

Al rimando iconografico l’artista aggiunge un altro livello di significato scegliendo di utilizzare un medium cinematografico per registrare un’immagine statica. In Still Life coesistono diverse realtà temporali – la storicità del riferimento, il tempo reale dell’oggetto registrato, la versione in time-lapse presentata allo spettatore – che sono unite dal medium cinematografico stesso. Secondo Lowry «media come questi non rappresentano il tempo in quanto tale, ma svolgono un ruolo significativo nel produrre i fenomeni culturali attraverso i quali comprendiamo il tempo» (Lowry, 2005). Il curatore Germano Celant (1998), che ha intervistato Taylor-Johnson in occasione della sua prima personale alla Fondazione Prada di Milano nel 1998, si riferisce alla pratica dell’artista sottolineando la sua capacità di combinare storia ed eventi come «modo di creare un nuovo genere di realtà», combinando passato e presente sia dal punto di vista temporale sia visivo. Infatti l’utilizzo della camera fissa consente di creare quelle che l’artista chiama «testimonianze statiche» (Ibidem). Si tratta di sequenze in cui gli eventi accadono e solo apparentemente non hanno bisogno di essere interpretati, ma in realtà sono permeati dalla profonda consapevolezza della fragilità della vita umana.

 

Sam Taylor Johnson, Still Life, 2001, still dal video

 

 

Bibliografia 

Barthes, R. (2000), Camera Lucida. Reflections on Photography, Vintage, Londra.

Celant, G. (1998), Sam Taylor-Wood, Fondazione Prada, Milano.

Ferguson, B. (1998), ‘Sam Taylor-Wood’, BOMB, 65. Disponibile su: https://bombmagazine.org/articles/sam-taylor-wood/. (Accesso 23 giugno 2023)

Kappel, S. (2007), Gender, subjectivity and feminist art: the work of Tracey Emin, Sam Taylor-Wood and Gillian Wearing, University of Westminster, London.

Lowry, J. (2005), ‘Still video portraits and the account of the soul’, Stillness and Time: Photography and the moving image, Photoforum, Wellington.

 

Biografia 

Diletta Piemonte (Vicenza, 1996) è curatrice indipendente e art advisor; attualmente collabora con la galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea di Milano, dove vive dal 2018. Ha lavorato presso le Galleria dell’Accademia di Venezia e Flash Art magazine, continuando in parallelo con la sua attività di curatrice indipendente e autrice di testi critici, collaborando con la curatrice indipendente Amina Berdin.