Considerando i videogiochi come il luogo dove convergono Utopia, spazio pubblico e dimensione digitale, quali sono le possibilità che originano per portare avanti una causa sociale? Velvet-Strike di Anne-Marie Schleiner e The Council on Gender Sensitivity di Angela Washko forniscono due brillanti esempi di hacktivismo e di trasformazione degli spazi ostili della cultura digitale in spazi di resistenza contro violenza e misoginia.

 

Mi piace pensare al videogioco come una non-località, un ecosistema virtuale, un’enclave che esiste sia parallelamente sia nel mondo fisico. L’interconnessione tra la dimensione fisica e quella virtuale si rispecchia nei gameplay, ovvero le strutture esperienziali complessive alla base di un videogioco, le cui narrazioni spesso derivano da accadimenti reali ed eventi storici. Anche quando le ambientazioni sono fantastiche, esse rispecchiano una realtà fisicamente esistente mediante le dinamiche attraverso cui il gioco si svolge. Con particolare riferimento ai videogiochi di guerra, McKenzie Wark (2007, p. 71) evidenzia il rapporto singolare con la Storia, la quale fa da sfondo alla narrazione del gioco, ma è allo stesso tempo sottoposta a un processo di riscrittura da parte dei giocatori. Ciò è possibile anche grazie al carattere intrinsecamente digitale dei videogiochi, che garantisce rinnovate possibilità di intervento e comportamento: attraverso un videogioco, possiamo rimaneggiare e giocare con i frammenti della Storia e della società in cui viviamo, ricombinandoli a nostro piacimento per creare nuovi immaginari presenti e futuri. 

Il costante scambio tra fisico e virtuale, offline e online, Storia e riscrittura origina uno spazio fertile per interventi pubblici di natura artivista. Tali azioni tra arte e attivismo hanno grandi potenzialità politiche legate all’opportunità di esplorare in prima persona circostanze storiche specifiche simulate nel videogioco, acquisendo una comprensione approfondita dei fenomeni presi in questione (Bogost, 2006). Inoltre, il videogioco è un pretesto e un’occasione per formare comunità di giocatori, che possono intervenire su uno spazio pubblico a tutti gli effetti. La mappa, il dungeon e l’open world di un gioco online sono, per coloro che vi prendono parte,  il corrispettivo digitale di uno spazio pubblico in cui manifestarsi e manifestare, nel senso più ampio del termine.

Assimilabili dunque a contesti collettivi di azione e interazione nella realtà fisica con le dovute differenze e limitazioni , gli ambienti digitali possono ospitare vari tipi di intervento, dall’attivismo più radicale ad azioni artistiche di origine performativa. La capacità d’azione propria dello spazio pubblico fisico (agency in inglese) è riadattata dai movimenti attivisti nella dimensione digitale. Il perfezionamento delle tecnologie digitali e la diffusione esponenziale del loro utilizzo ha contribuito a garantire un maggiore impatto ai movimenti attivisti che operano online (Paul, 2006). Inoltre, una maggiore capacità d’azione implica anche un lasciapassare alla creatività, in risposta alla moltitudine di contenuti e alle infinite combinazioni degli stessi offerti dalla dimensione interconnessa. 

Artisti e attivisti si sono trovati a convergere nello spazio digitale, battendola stessa strada comune già consolidata nel mondo offline, meglio conosciuta come artivismo, dove la parte più comunicativa ed estetica dell’attivismo incontra e si fonde con pratiche artistiche socialmente e politicamente impegnate. A partire dagli anni ’90, ma specialmente nel decennio 2001-2011, gli esempi di attivismo digitale si sono moltiplicati e diffusi esponenzialmente. Sono nate nuove modalità e nuove tattiche collettive, avvantaggiate sia dalle rinnovate possibilità di interconnessione sia dalla possibilità di affrontare le istituzioni e le strutture di potere dominanti senza un’esposizione fisica diretta (Ibidem). Sfumando i confini tra diverse pratiche, artisti, attivisti e hacker hanno ampliato il concetto di hacktivismo e vagliato un universo parallelo (al tempo ancora inesplorato) con lo scopo di ottenere ripercussioni nel mondo reale. L’intenzione era occupare una nuova dimensione ed estendere le possibilità di intervento pubblico. E proprio il carattere di novità e il suo status di “cantiere” hanno reso Internet lo spazio perfetto per «una controcomunicazione al di fuori dei canali dei media tradizionali» (Meschini, 2020a). I primi interventi in rete da parte di attivisti e artisti promuovevano infatti la libertà di espressione e di comunicazione dentro e fuori l’universo digitale. Per esempio, l’obiettivo principale del collettivo Tactical Media Crew, originario della scena romana autonoma e radicale e  attivo tra il 1995 e i primi 2000, era quello di trasformare la dimensione virtuale secondo il funzionamento dei centri sociali del mondo fisico1

Dal punto di vista odierno, colpisce il fatto che agli inizi il cyberspazio fosse considerato e utilizzato come un mezzo per promuovere e scatenare cambiamenti concreti nella dimensione fisica. Con il tempo, esso è diventato uno spazio di resistenza a sé stante, cosicché il «sabotaggio digitale» è attualmente considerato un aspetto legittimo della lotta sociale (Lovink, 2002, p. 267), coerentemente alla colonizzazione di Internet da parte delle stesse forze economiche e strutture normative e di potere delle società non virtuali. Una conseguenza fondamentale della trasformazione dello spazio digitale in spazio legittimo di resistenza e azione è l’adozione, da parte delle varie reti di attivisti digitali, di termini associati a movimenti di protesta del mondo fisico: sciopero (strike) e occupazione (squat) diventano “netstrike” e “cybersquat” (Meschini, 2020a). 

Nella cornice allargata dell’hacktivismo, si è sviluppata la cosiddetta Hacker Art, teorizzata nel 1989 da Tommaso Tozzi, uno degli organizzatori del primo netstrike globale nel 1995 e fondatore dello spazio online Hacker Art2 , il quale designava «un movimento interdisciplinare che pratica la disobbedienza civile elettronica, che non produce oggetti d’arte nel senso tradizionale del termine, ma che utilizza pratiche d’interferenza culturale per garantire l’uguaglianza tra i popoli [e] la difesa dei diritti costituzionali […]» (Pisano, 2009)3 . Considerando Internet come uno spazio di esperienze condivise dove identità fisicamente sparse si interconnettono generando rapporti – in breve, uno spazio di comunicazione – diviene semplice inglobare tanti interventi che avvengono in rete nelle definizioni di hacktivismo e hacker art, i quali, basandosi sulla pratica del networking (“fare rete”), difendono la libertà di espressione e di comunicazione on- e offline (Bazzichelli, 2006, citato in Meschini, 2020a). Dai collettivi RTMark agli Yes Men, fino al progetto vaticano.org del duo italiano Eva & Franco Mattes (1998)4, hackerare uno spazio, creare confusione e infiltrarsi in un sistema familiare si è dimostrata una strategia efficace di resistenza. 

Il boom di hacktivismo di inizio millennio sembrava fosse resuscitato con la comparsa di nuovi movimenti a seguito della crisi finanziaria del 2008: Occupy nelle piazze di varie città globali, le Primavere Arabe e il movimento 15M in Spagna, per esempio. Attorno al 2011, il mondo assisteva a un rinnovato utilizzo delle tecnologie digitali in funzione di una maggiore diffusione e organizzazione interna ai movimenti di protesta. Tuttavia, per quanto riguarda pratiche prettamente hacktiviste, questa “seconda ondata” non ha avuto lo stesso impatto della prima, essendo già entrata a far parte del mainstream della vita digitale (Meschini, 2020a).

 

Hacktivismo e videogiochi online

Tornando ai videogiochi, ciò che colpisce della possibilità di rimaneggiare in prima persona la Storia e i segmenti della società è l’assenza apparente di conseguenze dirette sulla vita personale dei giocatori. In via teorica, possiamo scegliere qualsiasi personaggio, mostrare la nostra vera personalità o indossarne altre come fossero vestiti, sentendoci al sicuro nella bolla anonima della virtualità5. Tuttavia e anche per questo motivo i videogiochi, così come la più ampia sfera digitale dimostra, non sono immuni da comportamenti e dinamiche discriminatorie fin troppo comuni nel mondo non virtuale. Il paradosso del digitale si ripete anche in questo caso. Creare un avatar, per esempio, è un’attività fortemente contraddittoria: anche se il giocatore ha accesso a possibilità di customizzazione pressoché illimitate, contemporaneamente, nei videogiochi più comuni gli avatar presi di mira e marginalizzati sono sempre quelli che corrispondono alle tipologie di corpi discriminati in contesti non digitali. Non solo, ma avatar più o meno elaborati sono anche avatar più o meno costosi, a riprova del fatto che l’esperienza di gioco non può essere uguale per tutti finché regolata dalle stesse condizioni e barriere socio-economiche del mondo fisico (Legassie, 2018). In giochi e simulazioni come Second Life6, che lasciano grande margine di esplorazione delle interazioni comunicative, le espressioni di violenza sociale, razziale e di genere sono prevalenti, tanto quanto all’esterno del gioco stesso (Ibidem). 

Nel 2012, dopo diversi anni passati a giocare e interagire con la comunità di gamers su World of Warcraft (WoW)7, l’artista, femminista e giocatrice Angela Washko istituì il Council on Gender Sensitivity and Behavioural Awareness. Questa iniziativa, rimasta attiva per quattro anni, aveva l’obiettivo di costruire con i giocatori uno spazio di discussione e di scambio sul femminismo. Il Council on Gender Sensitivity and Behavioural Awareness è contemporaneamente un progetto di ricerca e un intervento tattico in uno spazio sociale popolato da una maggioranza di giocatori maschi. Nonostante infatti WoW abbracci una varietà di giocatori abbastanza estesa – secondo il Daedalus Project8, i videogiochi e i MMORPG in particolare non attirano solo le sottoculture giovanili, ma anche adulti con occupazioni diverse e distribuiti in tutto il  mondo – è facile che misoginia, omofobia, razzismo e xenofobia prendano il sopravvento. L’operazione di Washko può essere interpretata anche alla luce di iniziative come #gamergate: un movimento sociale online che conta migliaia di giocatori affiliati con lo scopo di silenziare donne e minoranze che hanno messo in discussione la loro rappresentazione e il trattamento a loro rivolto all’interno della comunità gamer (Washko, 2014)9

Sfruttando l’aspetto comunitario dell’esperienza di WoW, l’artista ha creato delle performances filmate, in live-streaming, nella dimensione virtuale del gioco e durante eventi-gameshow, in cui poneva domande sul femminismo agli altri giocatori per comprendere la percezione comune sulle donne e sulla loro funzione nella società. A emergere dalle conversazioni documentate è, contrariamente alle intenzioni originali degli sviluppatori di World of Warcraft,  un ambiente pullulante di misogini e sessisti per cui, ad esempio, il ruolo della donna dovrebbe essere limitato al lavoro di cura non retribuito10. Il Council on Gender Sensitivity dunque introduce una conversazione inusuale e inaspettata, un discorso che in WoW figura come un virus estraneo alla comunità che lo popola. La sua efficacia risiede infatti nel raggiungimento di un gruppo di interlocutori che altrimenti rimarrebbero esclusi, anche e soprattutto per volontà personale, mettendo in moto un meccanismo di responsabilizzazione e migliorando contemporaneamente le condizioni di gioco per le giocatrici donne.

La riproduzione di ingiustizie sulle piattaforme di gioco digitali le rende a pieno titolo uno spazio di lotta in cui pretendere un cambiamento sociale. Il loro potenziale creativo ha inoltre generato uno spazio di intersezione con la new media art: il grande ambito della videogame art comprende, oltre ai giochi creati da artisti o sull’arte, anche i cosiddetti artgames, videogiochi scelti dagli artisti come forma d’espressione. A volte lo scopo di questo linguaggio artistico è ridefinire il concetto di gioco in sé, altre è invece confrontarsi con gioco preesistente in maniera creativa. Qui rientrano gli art mods, ovvero le pratiche di appropriazione delle tecnologie dei giochi per creare opere originali, una sorta di hacking del gioco (Pedercini, 2013). Alla base del modding risiede lo stesso principio di fondo dell’hacktivismo: infiltrare un sistema conosciuto per attuarvi un intervento come pratica di resistenza (Schleiner, 1998, citato in Bittanti e Quaranta, 2006). 

I mods sono per Anne-Marie Schleiner (1998) delle «patch di gioco parassitarie» che permettono agli artisti di infiltrarsi nella cultura del videogioco per ridefinirne la struttura. Nel 2002, in collaborazione con Brody Condon e Joan Leandre, Schleiner creò Velvet-Strike, una modificazione del famoso videogioco sparatutto in soggettiva (FPS) Counter-Strike11. Il contesto era quello della guerra al terrorismo degli Stati Uniti post 11 settembre e il gioco fu ideato proprio il giorno del primo bombardamento dell’esercito statunitense in Afghanistan. I giocatori che scaricavano la patch si ritrovavano coinvolti in un’azione anti-guerra all’interno di un gioco che consisteva nell’uccidere i terroristi o impersonificarli. Invece di partecipare alla narrazione del gioco di “uccidi o fatti uccidere”, era possibile irrorare il contesto di gioco di messaggi pacifisti, con il rischio di essere eliminati ripetutamente dagli altri giocatori. Il punto di questa operazione consiste nella volontà di reinserire le complessità, gli orrori e l’elemento umano dei territori di guerra e conflitti armati che il gioco Counter-Strike deliberatamente nascondeva. Nello stesso periodo, paradossalmente, l’esercito statunitense iniziò a sviluppare i propri giochi FPS utilizzandoli come strumento di reclutamento. Velvet-Strike creò «una connessione tra spazi fittizi online e la realtà politica che rispecchiava da vicino questi spazi» (Naziripour, 2017).

Al centro di entrambe le iniziative risiede lo spirito di tutti gli interventi attivisti: occupare e reclamare uno spazio. Sia le azioni di Anne-Marie Schleiner sia quelle di Angela Washko sono sovversive in quanto sfidano un sistema preesistente già funzionante, cogliendo impreparati coloro che ne fanno parte. La connotazione pubblica di questi scenari permette alle loro azioni di oltrepassare il confine della dimensione di gioco toccando la vita reale o perlomeno i pensieri dei giocatori. Ecco ancora una volta l’hacktivismo che si infiltra in una realtà familiare per cambiare la prospettiva di chi vi risiede. Essendo degli spazi virtuali immersi in una realtà fisica, i videogiochi rispecchiano per definizione il concetto di Utopia, cioè l’esercizio dell’immaginazione necessario a mettere in moto una spinta propulsiva per il cambiamento. Nell’era attuale, inoltre, in una realtà sempre più figitale, le potenzialità sovversive e comunicative di questi spazi potrebbero essere sfruttate maggiormente proprio per diffondere una coscienza collettiva, aprire conversazioni e discussioni sui cambiamenti che sono ormai necessari anche e soprattutto con coloro che altrimenti si asterrebbero dal prenderne parte.

 

Note  

1 Vedi: https://www.tmcrew.org/enghome.htm

Vedi: www.hackerart.org

3  Vedi anche: Critical Art Ensemble. (2001), Digital Resistance: Explorations in Tactical Media. Autonomedia, New York; Critical Art Ensemble. (1996), Electronic Civil Disobedience. Autonomedia, New York.

4 Vedi: http://archive.rhizome.org/artbase/1693/index.htmlhttps://theyesmen.org/; http://0100101110101101.org/vaticano-org/.

5 Vedi anche Mikeal Martey, R et al. (2014), “The strategic female: gender-switching and player behavior in online games”, Information, Communication & Society. 17(3), pp. 286-300. doi: https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/1369118X.2013.874493#.U2k2_K1dWCY.

6  Second Life è un mondo virtuale online lanciato nel 2003 dalla società statunitense Linden Lab. Si differenzia dai videogiochi perché non ha un obbiettivo finale o un gameplay, ma il suo scopo consiste nella simulazione di una “vita” parallela. Gli spazi e le attività sono generati infatti dagli stessi utenti, chiamati “residenti”.

7  World of Warcraft è un gioco di ruolo online multigiocatore di massa (abbreviato MMORPG, dall’inglese Massive Multiplayer Online Role-Playing Game), pubblicato nel 2004 da Blizzard Entertainment.

8 Il Daedalus Project fu un’indagine online dei giocatori di MMORPG, condotta tra il 2002 e il 2009 da Nick Yee. È attualmente “congelata”, ma gli archivi sono disponibili qui: http://www.nickyee.com/daedalus/. Ricerche e studi più recenti confermano la validità di questa indagine ancora oggi, nonostante siano passati più di dieci anni dal congelamento.

9 Per approfondire, vedi anche: Van der Werff, E. (2014), “#Gamergate: Here’s why everybody in the video game world is fighting”, Vox. Disponibile su: https://www.vox.com/2014/9/6/6111065/gamergate-explained-everybody-fighting.

10 Per un approfondimento delle modalità e dei risultati del progetto, vedi: https://angelawashko.com/section/300206-The%20Council%20on%20Gender%20Sensitivity%20and%20Behavioral%20Awareness%20in%20World%20of%20Warcraft.html

11 Counter-Strike è un videogioco sparatutto in prima persona multigiocatore, distribuito gratuitamente per la prima volta nel 1999 come modificazione di un altro videogioco, Half-Life, e in seguito acquisito dalla Valve Corporation come gioco a pagamento.

 

 

Occupy videogames. Velvet-Strike and The Council on Gender Sensitivity.

 

I like to think of videogames as non-localities, virtual environments, enclaves that exist in parallel and within the physical world. The connection between the physical and virtual dimensions is reflected in gameplays often deriving from real happenings and events in history. Even if they are entirely fantastical in their setting, they reflect concrete, real-world dynamics. Referring to war games in particular, McKenzie Wark (2007, p. 71) describes their interesting relationship with History, which serves as the background to the storyline, but is also subject to a re-writing process carried out by the players. Videogames are a branch of the digital dimension, and therefore maintain, if not enhance, great levels of agency to act and perform in whatever way is wished for. “The digital separates everything into discrete segments by imposing a code that allows anything to be connected to anything else.” In the same way, by playing a videogame, it is possible to manage distinct ‘chunks’ of History and society. 

Videogames could not exist without a strong connection to the real world. The virtual and the physical, the online and the offline become intrinsically interconnected, and this makes up for the perfect site of artivist public interventions. Videogames have great political potential due to the fact that they work as simulations of the real world and they allow players to personally experience specific historical circumstances, deepening their understanding of the matters (Bogost, 2006). Moreover, videogames are both a pretext and an opportunity for individuals to connect, forming communities able to intervene in an actual public space. Online play represents for gamers the same as the streets for militant groups. 

Because they function like a collective location of action and interaction, digital environments can host a variety of interventions, ranging from radical activism to performative artistic acts. Agency, first related to physical public space, was readapted to the digital dimension by activist movements. Without a doubt, the refinement of digital technologies and the increased employment of such have enhanced the possibilities for agency and therefore the effectiveness of activist movements operating online (Paul, 2006). More agency also implies more creativity, in response to the vast array of contents readily available online. 

We should point out that ‘artivism’ – where socially and politically engaged art practices meet the fringes of activism more preoccupied with communication and aesthetics – has existed long before the spread use of the Internet, but on it, it found fertile ground to flourish. Since the 1990s, but especially in the decade between 2001-2011, digital activism has expanded exponentially. New kinds of collectivist tactics have grown out of it, taking advantage from the possibilities for interconnection and the opportunity to challenge institutions and establishments of power and governance without total bodily exposure (Paul, 2006). Artists, hackers and activists joined and expanded the now-known practice of hacktivism: they ventured in a yet-unexplored parallel universe, to try and occupy a new dimension in order to intervene in the “real” world and extend the possibilities for public intervention. The net was the perfect space to go beyond traditional media channels and to foster an innovative, fresh, counter-communication (Meschini, 2020a). The first interventions by activists and artists in the digital realm were in fact advocating for freedom of expression and communication, within but also outside of the digital universe. For example, radical collective – active online and in Rome between 1995 and the early 2000s – Tactical Media Crew’s main goal was to transform the virtual dimension according to the functioning of physical-world social centres1 .

From today’s viewpoint, it is striking how, especially at the beginning, cyberspace was used as a medium to effect change in the physical dimension. With time, however, it has become a site for resistance on its own, open to «digital sabotage as a legitimate outcome of a social struggle» (Lovink, 2002, p. 267). This is probably due to the fact that the Internet was colonised by economic forces and regulatory establishments, and became subject to the same power structures of non-virtual societies. Consequently, terms associated to social protest movements operating in the physical commons were adopted by the various networks of digital activists: ‘strike’ and ‘squat’ became ‘netstrike’ and ‘cybersquat’ (Meschini, 2020a). 

Within the bigger context of hacktivism, artists specifically developed what is called hacker art, theorised in 1989 by Tommaso Tozzi – who was also responsible for the first global netstrike in 1995 and conceived the online space Hacker Art2 . This term shall designate an interdisciplinary movement practicing «electronic civil disobedience», not intended to produce any art objects, but its aim resides in the employment of actions of cultural interference so as to guarantee equality and the defence of constitutional rights, within the digital common sphere. (Pisano, 2009)3 .  If we think of the Internet as a space of shared experiences, where interconnections between physically dispersed identities take place, and relations are formed – briefly, space for communication – we will easily understand how many interventions in the networked commons fall within the given definitions of hacktivism and hacker art, which advocate for freedom of expression and communication, both on- and offline (Bazzichelli, 2006, in Meschini, 2020a). From the most famous RTMark and the Yes Men, to Italian duo Eva & Franco Mattes’ vaticano.org (1998)4 , hacking a space, creating confusion and infiltrating within a familiar system has proven an effective way of practicing resistance in the digital realm. 

Later, the hacktivist ‘boom’ of the early 2000s seemed to be resuscitating with the emergence of new social movements following the 2008 financial crisis – Occupy in the United States, the Arab Spring in North Africa, and 15-M in Spain. Around 2011 the world witnessed a renewed employment of digital technologies as a means for better organisation and diffusion of protest movements. However, in regard to hacktivist practices, this ‘second wave’ did not have the same impact of the first one, being seen as a more ‘mainstream’ strategy (Meschini, 2020a). 

 

Hacktivism and videogames

Back to videogames, it’s incredible how a player is able to engage with and “rearrange” segments of History and society, supposedly without affecting their everyday life. One can possibly choose to be any kind of character, and display any kind of personality, and the virtual environment will always protect one’s anonymity and ‘real’ personality and features5. However, let us not forget that, like the broader digital world, videogames can often be the site for the transposition of real-life discriminatory behaviours. It is the inescapable paradox of the digital. For example, avatar creation is highly contradictory: a player is offered a remarkable amount of customisation options (however not unlimited); meanwhile, in the most common videogames and simulations, marginalisation and targeting will happen to the same type of characters and avatars – mirroring real bodies in the physical world – that would be harassed in non-digital contexts. Another limit to the customisation of avatars are in fact the same socio-economic barriers regulating the physical world, as more elaborate avatars are also more expensive (Legassie, 2018). In games and virtual worlds like Second Life6 , which allow users to widely explore the field of social interactions, expressions of social, racial and gendered violence are prevalent as much as in the physical one (Legassie, 2018). 

In 2012, after many years of playing and spending time with the community of gamers in World of Warcraft (WoW)7 ,  artist, feminist and gamer Angela Washko established The Council on Gender Sensitivity and Behavioural Awareness. The four-year-long project’s aim was to foster a space of discussion on feminism for the gamers. It functioned both as a research project and a tactical intervention in a social space populated by a majority of male players. Despite the diversity of WoW’s player base – according to the Daedalus Project8 , videogames (and especially MMORPGs) don’t only appeal to a youth subculture, but they are played by adults with a wide range of occupations and spread around the world – misogyny, homophobia, racism and xenophobia easily take hold. Washko’s intervention can be also interpreted as a response to the spread of initiatives like #gamergate: an online social movement comprising thousands of gamers aimed at silencing women and minorities who have raised questions about their representation and treatment within the gaming community (Washko, 2014)9 . 

Taking advantage of the community aspect that is a fundamental part of the WoW experience, the artist created a series of performances, both filmed and live-streamed, within the game and “IRL” during gameshow events, actively bringing up questions on feminism to understand the shared perception that a large pool of players have about women and their supposed role in society. Emerging from the recorded conversations is how, contrary to the initial intentions of the game developers, World of Warcraft turned to adopt real-life misogynistic and sexist beliefs that women’s role should be limited to (unpaid) care work10 . The Council on Gender Sensitivity therefore introduced an unusual conversation, like a virus that is strange and infectious to the people populating WoW. Washko used the public space to talk about something different than usual, reaching an audience that would in other cases be distant from this conversation, isolated in its own bubble and igniting a process of better accountability, all while improving playing conditions for women players.

The reproduction of injustices on digital gaming platforms makes them a viable site for demanding social change. Moreover, their vast creativity potential has created a space of intersection of games overlap and new media art. The spectrum of videogame art is wide, and it embraces, other than games made by artists or about art, so-called artgames: videogames chosen by artists as a form of expression. Some games’ objective is to redefine play itself; other times it is to challenge the games and play “creatively”. This last example includes “art mods” – the appropriation of game technologies to create original pieces, a form of hacking the game for another purpose (Pedercini, 2013). The practice of “modding” videogames relies on the same principle underlying hacktivism: infiltrating in a familiar system, and intervene in it as a practice of resistance (Schleiner, 1998, in Bittanti and Quaranta, 2006). 

Anne-Marie Schleiner (1998) calls mods «parasitic game patches» allowing artists to infiltrate into game culture in order to redefine its structure. In 2002, in collaboration with Brody Condon and Joan Leandre, she created Velvet-Strike, a modification of the popular first-person shooter game Counter-Strike11 . The context was that of post-9/11 America’s war on terrorism, and the game was conceived specifically on the first day of bombing in Afghanistan by the US military. Players who downloaded the patch became involved in an anti-war action in a game whose purpose is either to ‘kill the terrorists’ or play the terrorists themselves. Instead of participating in the game’s narrative of ‘kill or be killed’, it was possible to spray anti-war messages around the game environment, at the risk of being repetitively eliminated by other players. The artists’ intention was to reinstate the complexities, horrors and human elements involved in war territories and armed conflicts that were left out of Counter-Strike. This came at a time when the US military started developing their own first-person shooter games and using them as recruitment tools, and Velvet-Strike «made a connection between fictional online spaces and the political reality that closely mirrored those spaces» (Naziripour, 2017). 

Both initiatives were centred around the spirit of all activist interventions: occupying and reclaiming a space. Schleiner’s and Washko’s actions reveal their subversive quality when they challenge an already-established and somewhat functioning system, and its inhabitants are caught unprepared. These scenarios being part of a public dimension, these actions went beyond the scope of the games, touching the players’ real lives, or, in the very least, their thoughts. Once again, hacktivism infiltrated a familiar reality to change its residents’ perspective. Because virtual worlds are immersed and derive from a physical dimension, videogames reflect by definition the concept of Utopia, that is to say that exercise in imagination that is necessary to set in motion a propulsive thrust for change. In this day and age, in an increasingly phygital reality, the subversive and communicative potential of these spaces could offer many advantages and be used to spread a collective conscience, open up a discussion on the impellent changes that are needed, reaching out to those who would otherwise avoid taking part in it.

 

Notes 

1 See: https://www.tmcrew.org/enghome.htm

2 See: www.hackerart.org

3 See also: Critical Art Ensemble, 2001: Digital Resistance: Explorations in Tactical Media, New York: Autonomedia; Critical Art Ensemble, 1996: Electronic Civil Disobedience, New York: Autonomedia.

4 See: http://archive.rhizome.org/artbase/1693/index.html; https://theyesmen.org/; http://0100101110101101.org/vaticano-org/

5 See also: Mikeal Martey, Rosa, et al. (2014), “The strategic female: gender-switching and player behavior in online games”, Information, Communication & Society. 17(3), pp. 286-300. doi: https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/1369118X.2013.874493#.U2k2_K1dWCY.

6 Second Life is a multi-user virtual environment released by the American company Linden Labs in 2003. Unlike most videogames, it does not develop after a gameplay or a fixed objective. Rather, it functions like a parallel “life” simulation. The spacces and activities are created by its users, called “residents”.

7 World of Warcraft is a popular Massive Multiplayer Online Role Playing Game (MMORPG) released in 2004 by Blizzard Entertainment

8  The Daedalus Project was an online survey of MMORPG players, carried out between 2002 and 2009 by Nick Yee. It is currently in hibernation, but the archives are still available at: http://www.nickyee.com/daedalus/. More recent research and studies into the subject confirm the validity of the Daedalus Project’s results today, even over ten years after its interruption

9 For further reference, see: Van der Werff, E. (2014), “#Gamergate: Here’s why everybody in the video game world is fighting”, Vox. Available at: https://www.vox.com/2014/9/6/6111065/gamergate-explained-everybody-fighting.

10 For further information about the methodologies and results of the project, see: https://angelawashko.com/section/300206-The%20Council%20on%20Gender%20Sensitivity%20and%20Behavioral%20Awareness%20in%20World%20of%20Warcraft.html.

11 Counter-Strike is a series of multiplayer first-person shooter games, originally released in 1999 as a modification for Half Life and later acquired by Valve Corporation for distribution as a retail product.

 

 

Bibliografia

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Jansson, M. (2013), “Interview: Angela Washko’s Gender-Playing in World of Warcraft”, Gamescenes. Disponibile su: https://www.gamescenes.org/2013/02/interview-angela-wahsko-a-wow-feminism-.html

Legassie, T.M. (2018), “Playing, Performing, Policing: Navigating Avatar Expression in Second Life”, VGA Reader, 2.1.2018. Disponibile su: https://www.videogameartgallery.com/vga-reader-articles/playing-performing-policing-navigating-avatar-expression-in-second-life-fhjzg-twhxb

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Biografia

Jael Arazi è una curatrice e creativa originaria di Milano. Dopo essersi diplomata in Pittura e Arti Visive alla NABA di Milano, si è trasferita a Londra, dove ha conseguito un MFA in Curating alla Goldsmiths University. È co-curatrice del progetto multidisciplinare In Lucid Dreams We Dance, sostenuto dall’Italian Council (2022), che comprende un programma di eventi e la pubblicazione di una zine sui temi della condivisione, senso d’appartenenza ed elementi rituali nel contesto fisico e relazionale del club e della musica elettronica. La sua pratica curatoriale si posiziona sulla sottile linea che separa la realtà fisica da quella digitale, analizzandone i risvolti sociali e le potenzialità politiche, con un particolare interesse per le ricerche artistiche audiovisive. Ha curato mostre sperimentali a Londra (2021-2022) e un programma di screening online sulla piattaforma Covideo (2021).