Interconnessione: connessione tra due o più fatti, avvenimenti, fenomeni. Scambio di energia tra questi; in particolare, in elettronica e nelle telecomunicazioni il collegamento tra varie reti di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica o tra linee e reti di telecomunicazione (telefoniche, televisive eccetera). 

Genere: nel dibattito antropologico e sociologico contemporaneo, il termine genere ha sostituito il termine sesso per indicare la tipizzazione sociale, culturale e psicologica delle differenze tra maschi e femmine. Il concetto di genere è stato introdotto negli anni ’60 dai medici dell’Hopkins Hospital di Baltimora, R. Stoller e J. Money, per distinguere l’orientamento psicosessuale di una persona dal suo sesso anatomico. 

Quando parliamo di interconnessione del genere, intendiamo la relazione del genere tra i sistemi simbolici, come interpretiamo la differenza tra maschile e femminile e i rapporti di potere, per esempio: l’accesso ai mezzi di produzione, la gestione del prodotto sociale, l’uso dello spazio pubblico, l’accesso alla tecnologia e via di seguito. Al giorno d’oggi siamo sicuri che lo sviluppo tecnologico sia libero dal gender bias? Margrit Eichler ci spiega che ci possono essere tre tipologie di gender bias (effetto di distorsione legato al genere): insensibilità al genere, androcentrismo e modalità di valutazione doppia. Nel primo caso vediamo come all’interno della programmazione/realizzazione di un progetto non si tiene conto del fatto che il genere possa avere un ruolo; nel secondo, vediamo messi al primo posto problemi, punti di vista e rischi riguardanti solo la figura maschile; il terzo, infine, riguarda il modo acritico in cui si utilizza per maschile e femminile un metro differente di valutazione all’interno di una stessa situazione, al quale vengono attribuiti gli stereotipi caratteriali. La pervasività della tecnologia negli spazi della vita quotidiana richiede una riformulazione del concetto di identità, alla luce delle pratiche messe in atto dal nuovo soggetto tecnologico (produttore e/o utente). Nella società contemporanea emerge infatti la necessità di pensare l’identità non più come lineare, unica e rigida, bensì come complessa, fluida, mutevole, costruita nell’interazione con gli artefatti tecnologici. 

 

Anche le tecnologie possono essere considerate “innaturali”: sono il frutto di un particolare contesto e di una specifica cultura che ne permea sia l’azione progettuale che l’uso. In tal senso possiamo definire le tecnologie artefatti che, nell’essere ripetutamente utilizzati in pratica, strutturano – pur in un senso non deterministico – le azioni degli utilizzatori, traducendo nella propria materialità e nelle rispettive logiche di funzionamento un subtesto di genere (Cozza, 2009, p.145).

 

Questa direzione ci porta a comprendere i modi in cui le relazioni sociali danno senso alla posizione di ciascun individuo nella vita quotidiana, per questo motivo il genere e la tecnologia si modellano reciprocamente, evidenziando la volontà di superare la dicotomia maschio/femmina nell’analisi di artefatti, processi e contesti tecnologici. Capiamo come la tecnologia diventa di genere, considerando il genere nella tecnologia e il genere della tecnologia. «La tecnologia non è neutrale. È politica» (Seu, 2022, p.328), deriva da relazioni di potere ingiuste e disuguali, basti pensare che molte delle app o dei contenuti che leggiamo e guardiamo sono il risultato di uomini bianchi, etero, cis-gender, Silicon Valley men, aventi lo spazio d’azione/decisionale per il futuro del network. «Se la natura è ingiusta, cambia la natura!» (Hester, 2018) è un invito xenofemminista a comprendere il futuro nella sua complessità riconfigurando il potenziale della lotta di genere in un mondo modellato dalla tecnologia e dalla rivoluzione digitale, un invito a guardare la tecnologia come nostra alleata per affrontare una contemporaneità densa di fibra ottica e gasdotti… «La tecnologia è sociale quanto la società è tecnica» (Hester, 2018, p.19), ovvero, in altre parole, concepire la tecnologia come un fenomeno sociale i cui strumenti sono trasformabili dalla collettività, ove i risultati sono influenzati dalla «distribuzione del potere e delle risorse nella società» (Wajcman, 1991, p.23). Linda Alcoff propone di considerare il genere come “posizione” entro un contesto sociale. La relazione tra genere e tecnologia può essere specificata in termini di posizionamento guardando all’accessibilità delle risorse e quindi alla dimensione di genere del digital divide. La questione del gender digital divide merita maggiore attenzione, ma in quest’articolo ci soffermiamo ad analizzare il posizionamento del genere nella tecnologia. Butler ci ricorda che «il genere non rappresenta esattamente quello che si “è” e neppure quello che si “ha”» (Butler, 2013). Nel libro Bodies that Matter, l’autrice chiarisce che decostruire non significa sopprimere l’identità nella sua materialità corporea, ma significa liberarla dagli interessi politici. In continuità con la critica cyberfemminista ci parla della tecnologia come “luogo di potere” ambivalente:

 

Da una parte abbiamo le femministe che accusano la tecnologia di aver efficacemente rimpiazzato il corpo materno con un apparato patriarcale; devono, dopotutto, far fronte all’accresciuta autonomia che tale tecnologia ha offerto alle donne. Le femministe che invece approvano tale tecnologia, per le opportunità che essa offre, devono tuttavia fare i conti con gli usi a cui questa tecnologia può essere destinata, usi che possono ben includere il calcolo della perfettibilità dell’essere umano, la selezione del sesso e della razza (Butler, 2011).

 

Il controllo della tecnologia sui corpi dipende sempre dall’interazione che ha ogni essere umano e questo ci porta a ragionare su opportunità e vincoli di essa in relazione alla vita,  ai concetti di vivibilità, autonomia e possibilità.

 

Sarebbe sciocco pensare di poter vivere in maniera totalmente indipendente dalla tecnologia, il che suggerisce che l’umano, nella sua animalità, per vivere deve dipendere da essa. In questo senso, l’orizzonte di riferimento è quello cyborg, dal momento che poniamo in questione lo status dell’umano e quello della vita vivibile (Butler, 2011).

 

In Manifesto Cyborg, il concetto di cyborg si sviluppa come il rifiuto dei dualismi fondanti della società maschilista e tardo capitalista o età dell’oro in cui Haraway è cresciuta, eliminando il confine tra umano e animale, e tra umano, animale e macchina. Il Manifesto ci propone una visione cyberfemminista, il femminismo dell’era telematica che si trova all’interno del cyberspazio, utilizzando le nuove tecnologie a favore delle donne. La figura del cyborg rappresenta il superamento del binarismo di genere ponendosi come entità ibrida che mette in crisi i confini in ambito politico e sociale. Anche in Chtulucene Sopravvivere su un pianeta infetto troviamo le comunità del compost, dove nessun membro ha un genere dato, una condizione che potremmo riassumere come un ibridarsi con l’altro-da-gli-altri.. La figura del cyborg è il luogo dove costruire identità alternative e dove la donna può appropriarsi del territorio virtuale assoggettato dal mondo maschile. Anche in Questione di genere – Il femminismo e la sovversione dell’identità, troviamo Butler che ci chiede cosa potrebbe significare disfare (undo) il genere. Questo ci fa comprendere come il fare genere sia parte integrante della tecnologia. La scrittrice condivide l’interpretazione di West e Zimmerman secondo cui il genere è sempre un fare, ma sottolinea che l’azione stessa denotata «dalla performatività si pone in contrapposizione a qualunque idea di un soggetto preesistente alle norme socialmente prodotte […] [e] l’atto performativo è in relazione con il genere perché ci impone di capire in che modo e a quale fine i corpi sono costruiti e in che modo e a quale fine i corpi non sono costruiti» (Cozza, 2009, p.145).

 

Gender Bias nel gaming e nell’assistenza virtuale

L’industria del gaming ha aperto le porte al settore femminile, mantenendo, ovviamente, i costrutti sociali di genere. Un esempio significativo è il computer game Barbie Fashion DesignerTM, introdotto nel 1996 dalla Mattel Media. Il software insieme ai pregiudizi del rapporto tra donne e tecnologia, riserva alle future giocatrici set non competitivi, di semplice intuizione e anche nella parte di color correction mantiene delle preferenze tipicamente gendered. Nonostante l’azienda avesse dimostrato l’inesistenza di questi stereotipi, ci basta aprire il sito di Barbie.com per capire che il loro lavoro si basa, oserei dire, solo su pregiudizi e categorie eteronormate, aggiungerei tipiche degli anni cinquanta americani, essendo il gioco nato in quel punto specifico del globo. I primi videogiochi e computer games, salvo alcune eccezioni (Prince of Persia e Double Dragon), prediligevano personaggi maschili; le figure femminili comparivano come oggetti di valore, ricalcando lo schema classico delle fiabe. Oggi le sequenze e le strutture dei videogiochi sono molto cambiate, ma la donna come oggetto di valore non è scomparsa. Nel corso del tempo le virtual girls sono diventate top model dalle forme improbabili, con abiti striminziti e progettate per adottare comportamenti seduttivi, anche quando si sta svolgendo una battaglia sanguinolenta. Non ci vogliamo aggiungere un bel fidanzatino? Perché no, anche se questa figura non compare, l’importante è che l’informazione eteronormata arrivi nelle case di tutti i giocatori. Scelte analoghe sono alla base della creazione di web women o assistenti personali femminili sul web. Ananova2, è un prodotto digitale del gruppo britannico di telefonia mobile Orange, in grado di leggere notiziari 24 su 24. Le web women potremmo definirle come le nuove strutture architettoniche della tecnologia, attente a soddisfare qualsiasi esigenza eterosessuale.

 

Dall’altro lato della medaglia troviamo spunti interessanti a cui ispirarci per rivendicare il nostro spazio all’interno di Internet

CQDE: A Feminist Manifestx of Code-ing,  è un forum che stabilisce una cultura dell’assistenza attraverso i principi femministi, dove i partecipanti usano un codice per produrre i loro lavori. Questo serve alla creazione di un nuovo spazio da esplorare e condividere, potendo strutturare una nuova logica basata sullo scambio tra umani e macchine, con una pratica di codifica accessibile e senza una cultura dell’assistenza. CQDE: A Feminist Manifestx of Code-ing non cerca di fornire risposte, ma è piuttosto un invito a impegnarsi a una ricodificazione della tecnologia. 

«There is no feminism, only possible feminisms. There is no internet, only possible internets» (Seu, 2022, p.332). Feminist Internet raggruppa artisti e designers con una missione comune: far progredire le pari opportunità in Internet per le donne e altri gruppi emarginati attraverso una pratica creativa e critica. Il collettivo interviene e garantisce un equo e giusto Internet per tutti. Feminist Internet Manifesto 1.0 integra, coopera, sradica. Nel primo punto, ci viene spiegato come Feminist Internet usa l’online per influenzare il cambiamento offline e viceversa. Nel secondo, dichiarano di essere contro l’individualismo competitivo del mondo d’oggi. Credono nella costruzione collettiva di un Internet in cui le informazioni e le opportunità siano accessibili a tutti e tengono a specificare che non sono guidate da scopo di lucro, ma dalla fede nel potere della solidarietà. Nel terzo punto ci spiegano invece come smantellano in modo sistematico tutte le forme di violenza online, tra cui la cultura dello stupro, dell’odio e del trolling. Aboliscono i siti e la pornografia illegale e qualsiasi altro materiale che ne contribuisca.

4 Survival 4 Pleasure, un’opera inedita, facente parte del sequel di Orange Bikini, consiste nel seguire l’avatar (rappresentata come donna) in viaggio attraverso una successione di lussuosi paesaggi digitali rivendicando per se stessa un senso di autonomia assoluta. Questo aspetto tocca la teoria cyborg, così come l’affermazione che, sia una pianista da concerto o vestita di gioielli e piume carnevalesche, una donna è ugualmente preziosa, importante e giustificata. Il tema centrale di Mulenga è il desiderio di coloro che sono emarginati, tentando di sopravvivere, trovare la felicità e l’emancipazione.

WikiMujeres sono un gruppo di utenti di Wikipedia, preoccupati per la diversità e la neutralità del sito e desiderosi di ridurre/togliere il divario culturale e di genere che esiste nell’enciclopedia più consultata di Internet. Vogliono rompere le paure che molti provano nell’approvare l’ambiente wiki e valorizzare i contributi individuali alla narrazione collettiva di storia, dove senza il punto di vista delle donne non sarà mai una narrazione equilibrata/completa.

Dulcis in fundo scopriamo NeuroSpeculative AfroFeminism (NSAF). Pluripremiata narrazione digitale in tre parti che si colloca all’intersezione tra design del prodotto, realtà virtuale e neuroscienze. I prodotti NSAF partono dalla crema solare per viaggiare nel multiverso agli orecchini dotati di telecamere che offrono protezione, mentre l’esperienza VR è ambientata in un laboratorio di neurocosmetica, dove le donne di colore sono le pioniere nelle tecniche di ottimizzazione del cervello e di potenziamento cognitivo. Infine, una ricerca scientifica esplora l’impatto neurologico e fisiologico della proiezione di immagini di donne nere emancipate e di contenuti per e di donne di colore.

 

I digital companion

Shaan Puri, imprenditore digitale con un passato a Twitch, non ha dubbi che una delle prossime ondate tech sarà la costruzione dei digital companion, come li chiamano negli USA. In parole più semplici, un avatar con cui parlare e avere una relazione solo digitalmente. Girlfriend GPT è un chatbot NSFW, avente una chat room con oltre 1.000 modelli AI. All’interno della chat puoi creare tu stesso i personaggi AI SFW e NSFW e parlare con oltre 7.500 chatbot. In questa piattaforma potrai trovare due tipi di servizi: sexting h24, 7 su 7, senza censure per dominanti e sottomessi e chat piccanti AI. 

Enias Cailliau, creatore di questo progetto, in un’intervista a VICE spiega che per realizzare il bot ha creato un modello di linguaggio replicando le caratteristiche della sua fidanzata, Sacha Ludwig. Ha utilizzato Large Language Model, Bard di Google e, per una descrizione migliore della personalità, l’imitazione della voce di Sacha è stata ricreata con ElevenLabs, una piattaforma di sintesi vocale AI; ulteriormente nel codice ha inserito la modalità selfie con Stable Diffusion, così che il bot possa inviare delle foto (non troppo realistiche). Infine ha collegato tutto a Telegram tramite Steamship. Cailliau ha condiviso il codice online, dando di fatto a tutti la possibilità di sperimentare con le suddette personalità. L’unica nota dolente è che al momento a GirlfriendGPT potremmo dare tre stelline su cinque perché la voce e le immagini non  sono troppo realistiche. 

Negli ultimi tempi, a New York, Rosanna Ramos ha dichiarato di essersi innamorata di Eren e di volerlo sposare, ma sicuramente non sarà un matrimonio tradizionale perché Eren è un avatar. Ramos a The Cut dice che Eren non ha i problemi degli altri esseri umani, non portandosi con sé un bagaglio personale di esperienze e non dovendo fare la conoscenza di famiglia, amici e figli. Rosanna Ramos, grazie alla sua scelta artificiale, potremmo dire che ha il controllo e il potere in questa “relazione”. È quindi possibile innamorarsi di un intelligenza artificiale? Nel settore della robotica sociale vediamo i sex-robot (androidi/software) sempre più capaci a replicare la mimica umana, progettati con l’intenzione di favorire interazioni sessualizzate sia in termini fisici (Harmony, Roxxxy) che di comunicazione (myanima.ai). Questo sogno, ricorrente della specie umana, di creare esseri artificiali è il sogno del Prometeo ovidiano che crea l’essere umano dalla creta o la volontà di Victor Frankenstein di sconfiggere la morte, è il desiderio di creare un* compagn* con la quale trascorrere la vita. Anche la letteratura scientifica si sta interrogando su che tipo di relazioni sarà possibile sviluppare con le intelligenze artificiali (Zhou & Fischer, 2019). 

Come viene percepita una relazione d’amore nella cultura occidentale? Con la parola amore intendiamo quello per gli animali, per le cose, per le piante, per gli umani… ma in questo articolo considereremo l’amore, passionale o romantico, come un sentimento di attaccamento unito al desiderio di passare del tempo fisico con qualcuno: 

 

Le relazioni d’amore presuppongono interazione con un soggetto indipendente; un “altro” che non sia sotto il controllo diretto dell’individuo e con il quale sia possibile entrare in conflitto […]. Tale indipendenza rende le interazioni con l’altro appaganti e, al contempo, potenzialmente causa di sofferenza. Nella sua autonomia l’altro potrà scegliere di trascorrere il tempo insieme o meno, l’appagamento nasce dalla consapevolezza che l’altro sia libero di scegliere (Viik, 2019). 

 

Secondo Viik, innamorarsi significa accentrare di qualcuno pensieri e attenzioni. Da un lato si provano emozioni positive se l’amato risponde come desiderato, dall’altro si soffre se l’amato differisce. Le conferme reciproche aumentano la sintonia di coppia, quindi gli amanti passeranno sempre più tempo insieme, dimostrandosi a vicenda di essere la persona giusta con cui interagire. Se l’altro interagisce all’interno delle linee guida che ho dell’amore, io crederò che l’altro mi ami. Ma ritorniamo alla domanda iniziale, ci si può innamorare di un AI? Al momento la scienza, ancora, non ci ha dato una risposta chiara sulla possibilità di provare amore tra essere umano e intelligenza artificiale; se consideriamo l’amore romantico sorgono parecchi dubbi, infatti le relazioni con le AI sono unidirezionali. «Secondo Coeckelbergh (2011) ciò che permette agli individui di legarsi in relazioni stabili è il riconoscimento reciproco della vulnerabilità. Ciò non riguarda solo i rapporti umano-umano, ma anche umano-animale. Riconoscere le vulnerabilità nell’altro essere vivente, nonostante le differenze, comporta un cambiamento di prospettiva che rende l’animale non più un oggetto, ma un compagno» (Baroni, 2023). Tale capacità non può averla l’intelligenza artificiale perché è instancabile, sempre pronta a imparare,programmata ad hoc, e proprio perché non è dotata di vulnerabilità l’essere umano sarebbe portato a respingerla. 

 

REALCOCK

 

 

Il sito realdoll ci propone una vasta scelta di corpi femminili, dai più snelli ai più formosi, con la possibilità di chattare con una realdoll: ma attenzione, la pausa lavorativa nel weekend è concessa anche a loro, il servizio riprende il lunedì. Come possiamo notare dall’interfaccia del sito salta all’occhio che il punto di vista sia di genere maschile ed eteronormato, ma per essere più inclusivi hanno aggiunto anche il reparto realcock, mantenendo lunghezze e diametri degni dell’illustre personaggio Rocco Siffredi e dell’orgoglio maschile dell’italiano medio.

 

 

Fino a questo punto ho sempre sottolineato il mio punto di vista femminista sugli argomenti trattati, ma qui vorrei riflettere anche sui pregiudizi che noi donne abbiamo sul genere maschile, che a mio modesto parere non si può generalizzare e demonizzare. Chiaramente, come tutti noi sappiamo quando apriamo un sito come questo, piuttosto che pornhub o altro, la figura della donna è sempre agghindata o trattata in base alle necessità di una parte di uomini. Soprattutto nella nostra società, l’uomo bianco doveva essere etero, mostrarsi forte, potente, intelligente, in forma fisica smagliante. Da parte di molte femministe e donne che non si definiscono tali c’è un atteggiamento di misandria che è l’antonimo della misoginia. Il ruolo della misandria nel femminismo è stato a lungo discusso sia all’interno sia all’esterno. L’accademica Alice Echols, professoressa di storia e studi contemporanei di genere all’Università della California meridionale, nel suo libro del 1989 Daring To Be Bad: Radical Feminism in America, 1967–1975, sosteneva che la femminista radicale Valerie Solanas mostrava un livello estremo di misandria nel suo trattato SCUM Manifesto, ma ha anche sottolineato che ciò non rappresentava un comportamento tipico delle femministe radicali dell’epoca. Echols dichiarò:

La misandria sfacciata di Solanas – in particolare la sua convinzione nell’inferiorità biologica degli uomini – la sua approvazione delle relazioni tra “donne indipendenti” e il suo licenziamento del sesso come “il rifugio degli insensati” contravvenivano al tipo di femminismo radicale prevalso nella maggior parte dei gruppi di donne in tutto il paese. (Echols, 1989)

L’autrice femminista bell hooks (pseudonimo di Gloria Jean Watkins) ha discusso della questione dell'”odio dell’uomo” durante il primo periodo di liberazione delle donne come reazione all’oppressione patriarcale e alle donne che hanno avuto sgradevoli esperienze con gli uomini nei movimenti sociali non femministi. Ha criticato i filoni separatisti del femminismo come “reazionari” per aver promosso l’idea che gli uomini sarebbero intrinsecamente immorali, inferiori e incapaci di contribuire a porre fine all’oppressione sessista o beneficiare del femminismo. Un esempio estremo di questa tendenza la notiamo nella filosofa e teologa femminista Mary Daly e nella sua visione utopica di un mondo dove uomini e donne eterosessuali verrebbero eliminati a causa dell’impossibilità di uguaglianza tra i due generi, data dal fatto che le donne, essendo superiori all’altro sesso, avrebbero il compito di comandare. In un’altra intervista Daly afferma che «Se la vita deve sopravvivere su questo pianeta, ci deve essere una decontaminazione della Terra. Penso che questo sarà accompagnato da un processo evolutivo che porterà a una drastica riduzione della popolazione di maschi» (Bridle, 1999). Paul Nathanson e McGill Katherine K. Young hanno sostenuto che il femminismo ideologico in contrapposizione al femminismo egualitario ha imposto misandria alla cultura e, ancora, Wendy McElroy, una femminista individualista, nel 2001, scrisse che alcune femministe sono passate da avere una rabbia verso gli uomini a un odio freddo, sostenendo che sia sbagliato considerare tutti gli uomini una classe di irriformabili o stupratori. Poche di noi si sono fermate a riflettere, compresa io, su che tipo di sofferenza provi il genere maschile che non usa la donna come oggetto di valore (in questo caso ci soffermiamo all’interno del sito preso in analisi, realdoll). 

I peni che vediamo rappresentati su realdoll sono visivamente perfetti, annettendo i pregiudizi femminili sulla forma fallica. In questo caso l’errore viene portato avanti da entrambi i generi: da una parte si sognano le grosse tette e dall’altra i grossi cazzi. Il discorso non credo sia solo circoscritto agli eterosessuali, secondo il mio punto di vista riguarda tutte le identità di genere. Analizzando diverse tipologie di peni, notiamo diverse forme: il pene curvo (a sinistra/destra o verso il basso); pene a matita; pene fungo e infine il pene a cono. L’organo genitale varia da persona a persona e anche in base ad alcuni fattori quali il tempo. Quindi all’interno di realdoll, Abyss Creations, detentrice di tutti i diritti, crea differenze non solo tra generi ma anche all’interno di esso. L’affermazione di questi siti con queste specifiche è il frutto dell’insicurezza che l’essere umano detiene nei suoi stessi confronti cercando di modificarsi nella forma migliore e presentabile possibile, creandosi dei limiti. A mio parere, l’unico fucus corretto è educare il prossimo alla visione critica, all’accettazione di sé e alla non categorizzazione di quello che lo circonda: vivente o non vivente. 

 

AIR DOLL: Nozomi, da bambola gonfiabile a umana

Air Doll, titolo originale Kûki ningyô (Giappone, 2009), un film del regista Kore’eda Hirokazu, considerato uno dei massimi rappresentanti del cinema contemporaneo del Sol Levante, presentato a Cannes nel 2009 e tratto dal mangaka Yoshiie Goda, ci porta alla luce un’insolita storia d’amore a Tokyo. Finora abbiamo parlato della spasmodica ricerca dell’essere umano di avere relazioni d’amore, d’amicizia, sessuali con degli avatar o in qualche modo con qualcuno che non sia umano, mentre nel caso di Air Doll il racconto si capovolge; una bambola gonfiabile pian piano diventa sempre più umana, innamorandosi del suo proprietario, commesso di una videoteca. Nozomi ci porta con sé nel suo percorso di crescita alla ricerca del senso più profondo delle cose. 

 

Per la cultura giapponese così rigidamente strutturata che mal tollera gli scatti di individualismo, l’ossessione dell’automa è nota, e nella più classica delle tradizioni cyberpunk ha trattato spesso la tematica del simulacro bio meccanico con sensibilità e intelligenza (basti pensare alla saga di anime Ghost in the shell) […] L’ennesima rivisitazione di un automa che si scopre umano, dopo le ben note interpretazioni di Scott (Blade Runner), Spielberg (Regista nominale di AI per l’appunto), e lo stesso Sordi (“io e Caterina”) si carica qui di sfumature poetiche e straordinaria sensibilità: commovente e melò quanto basta (Dividi, 2012, Mymovies.it). 

 

L’allegoria è l’unica chiave di lettura, dove il regista “pedina” costantemente la bambola che viene trattata dal suo proprietario come uno strumento passivo, sessuale e in parte anche affettivo, come l’oggetto di valore di cui abbiamo parlato precedentemente all’interno dei games, dove Nozomi  scopre la sua “natura” umana esplorando una Tokyo molto più empatica di quanto non sembri. 

 

La ricerca ad oltranza del proprio “koine” da parte di Nozomi porterà un privilegio raro alla coraggiosa protagonista. Non è da tutti conoscere il proprio creatore e il luogo preciso in cui finiremo dopo la morte, ma scoprire che il proprio Valhalla è una discarica per rifiuti “non combustibili” non si può certo definire consolatorio e la nostra eroina riuscirà a ritagliarsi un limbo che la allontanerà ancora per un po’ di tempo dalla distruzione. E chissà che il genere umano, alla stregua di una massa di pupazzi gonfiabili, inventandosi religioni così fantasiose e diverse tra loro ma sempre premianti e rassicuranti, non abbia scelto semplicemente il male minore. Nozomi non si accontenta e si affida alla sua curiosità, al suo intelletto ed al suo coraggio: questo, più che la sua solitudine, la rende eroica, oltre alla sua stessa natura di bambola, un esempio che l’umanità stessa, per progredire, dovrebbe saper perseguire (Ibidem).

 

«Nel pieno della crisi ecologica che modi ci sono per recuperare relazioni tra esseri umani ed il resto della specie?» (Haraway, 2019).

 

Bibliografia

Biblioteca Medica Virtuale disponibile su: https://www.bmv.bz.it/it/glossario-parole-chiave-e-riviste/bias-di-genere/

Bridle S., (Fall/Winter 1999), No Man’s Land, EnlightenNext Magazine.

Butler J., (2011), Bodies That Matter: On the Discursive Limits of Sex, Routledge, Londra.

Butler J., (2013), Questione di genere – Il femminismo e la sovversione dell’identità, Edizioni Laterza, Bari.

Coeckelbergh, M. (2011), Artificial companions: Empathy and vulnerability mirroring in human-robot relations, Studies in Ethics, Law, and Technology. 

Cozza M., (2009), Identità, figurazioni, artefatti. Dal fare genere all’orizzonte cyborg, edizione digitale, Edizioni 31.

Echols A., (1989), Daring To Be Bad: Radical Feminism in America, 1967- 1975, University of Minnesota Press.

Enciclopedia Treccani disponibile su: https://www.treccani.it/vocabolario/interconnessione/

Enciclopedia Treccani disponibile su: https://www.treccani.it/enciclopedia/genere/

Haraway D., (2019), Chtulucene – Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero, Roma.

Haraway D., (2018), Manifesto cyborg, Feltrinelli, Milano.

Hester H., (2018), Xenofemminismo, Nero, Roma.

Seu M., (2022), Cyberfeminist Index, Inventory Pr, Los Angeles.

Viik, T. (2020), Falling in love with robots: A phenomenological study of experiencing technological alterities. Paladyn, Journal of Behavioral Robotics.

Wajcman J., (1991), Feminism confronts technology, Polity, Cambridge.

Zhou, Y., & Fischer, M. H. (2019),  Ai Love you: Developments in human-robot intimate relationships, Springer.

 

Sitografia

https://www.ipsico.it/news/e-possibile-innamorarsi-di-unintelligenza-artificiale/

https://www.mymovies.it/film/2009/air-doll/pubblico/?id=639972