Era il 1981, e il New York Times portava all’attenzione del grande pubblico la repentina diffusione di un «raro cancro osservato in 41 omosessuali» (Altman, 1981). Da lì in poi, ci volle ben poco perché i media iniziassero una campagna di terrore, il cui prezzo era pagato interamente dalla comunità omosessuale (basti guardare il film A Normal Heart di Ryan Murphy per farsi una straziante ma realistica idea della situazione). Come conseguenza, vi fu una stigmatizzazione generale dei rapporti tra persone omosessuali e anche del sesso in sé, considerato come causa primaria del proliferare dell’AIDS. Fu soprattutto nel corso degli otto anni di presidenza di Ronald Reagan che, negli Stati Uniti, i malati di AIDS furono ostracizzati e colpevolizzati per la loro stessa malattia. La combinazione di questa serie di fattori sociali e culturali acuì l’isolamento della comunità omosessuale, ritenuta responsabile dello scoppio dell’epidemia.

È in questa cornice che Isaac Julien realizza This is not an AIDS advertisement (1987), da egli stesso definita «a pro-sex advertisement for gay desires» (Morrow, 1995, p. 408). L’opera aprì il dibattito sulla rappresentazione sessuale della comunità gay e nera, in un momento in cui il taboo sociale era evidente. Il progetto, iniziato da Julien con This is not an AIDS advertisement, vide poi un’espansione nel lavoro più famoso dell’artista, il video Looking for Langston, realizzato nel 1989 in bianco e nero. L’opera tratta la figura di Langston Hughes (1902-1967), poeta afroamericano e omosessuale che fece parte del cosiddetto Rinascimento di Harlem, un movimento artistico e intellettuale che nacque nell’omonimo quartiere di New York nel corso degli anni ’20. Con esponenti prevalentemente di colore, patrocinati dalla ricca borghesia bianca dell’epoca, la gran parte della produzione del Rinascimento di Harlem è radicata nella cultura omosessuale stessa (Grundmann, 1995, p. 30), motivo per cui il film, che dichiaratamente si presenta come una meditazione proprio sul Rinascimento di Harlem, è dedicato alla memoria di James Baldwin (1924-1987), noto poeta afroamericano il cui contributo fu determinante alla sensibilizzazione in merito all’oppressione razziale e sessuale .

 

Isaac Julien, Looking for Langston, 1989, still dal video. Courtesy: Isaac Julien Studio

 

L’importanza del concetto di lutto – e di conseguenza del concetto di assenza – viene messo in risalto anche dalla mise-en-scène, la quale si struttura prevalentemente a partire dall’immagine fotografica (Fischer, 2008). L’opera si presenta quindi come una sorta di tableaux vivant cinematografico, in cui si uniscono e si alternano spezzoni originali realizzati dall’artista con materiale d’archivio e foto di repertorio, che hanno la funzione di richiamare l’atmosfera del periodo storico, ma senza la pretesa di porsi come un documentario nel senso stretto del termine. I principali riferimenti visivi per la costruzione di Looking for Langston sono il libro di James Van Der Zee The Harlem Book of the Dead (1978) e il Black Book (1986) di Robert Mapplethorpe (Muñoz, 1999, p. 63). L’influenza di queste opere fotografiche è rintracciabile nella composizione formale del video in termini di luce e saturazione, ma lo è anche dal punto di vista concettuale: in Looking for Langston troviamo un’appropriazione del corpo nero e queer che è soggetto e oggetto di desiderio nelle fotografie di Mapplethorpe. Dal punto di vista formale, Looking for Langston vede una profonda compenetrazione di foto e video, tanto che il film è accompagnato da una serie fotografica intitolata Vintage Series. Gli scatti, eseguiti nei medesimi set dell’opera, sono integrati come fermo-immagine all’interno dell’opera stessa

 

Isaac Julien, Looking for Langston, 1989, still dal video. Courtesy: Isaac Julien Studio

 

L’attivista Bell Hooks ha sottolineato come l’opera di Julien ritragga la vulnerabilità e la morbidezza del corpo maschile nero, in aperta antitesi con le modalità di rappresentazione degli stessi corpi nella cultura contemporanea (Hooks, 1991). Tutto ciò fa capire come Julien sia conscio del pregiudizio per il quale i corpi neri sono percepiti dalla cultura dominante  da un punto di vista iper-sessualizzante e collegati a una forma di aggressività e brutalità. Nell’opera di Julien – come nelle foto di Mapplethorpe – la corporeità nera viene senza dubbio mercificata, ma anche e soprattutto liberata da qualsiasi forma di violenza o brutalità grazie all’impiego di codici visivi inediti. Come sostiene Chi-Yun Shin, questi corpi sono coscientemente e «volutamente riposizionati quale oggetto principale dello sguardo. Allo stesso tempo, il corpo maschile nero è presentato come sede di piacere, per rivendicare il desiderio omosessuale che si genera dall’osservare gli uomini di colore, e di reclamare la corporeità del corpo maschile nero che è stato storicamente limitato e controllato» (Shin, 2003, p. 209).

 

Isaac Julien, Looking for Langston, 1989, still dal video. Courtesy: Isaac Julien Studio

 

L’oggetto del lutto in Looking for Langston, dunque, non è solo l’assenza fisica e culturale di Langston Hughes e degli altri esponenti del Rinascimento di Harlem, ma anche dell’amore omosessuale represso e inespresso. È proprio a questo tropo che fa riferimento una scena del video ambientata in un cimitero, luogo d’incontro di amanti clandestini, dove non c’è anima viva a testimoniare il loro amore, all’epoca considerato proibito. Il senso profondo è rivelato dalla poesia di Essex Hemphill (1957-1995) recitata da una voce fuori campo: Now we think as we fuck this nut might kill (Ora pensiamo che mentre scopiamo questo pazzo potrebbe uccidere). Nell’opera, infatti, risalta l’inserimento della cosiddetta Jazz Poetry, che apre livelli più profondi di significato e diversifica i punti di vista, prendendo come punto di partenza la figura dominante dell’uomo bianco eterosessuale, considerando la questione dal punto di vista delle minoranze. In particolare, nel corso del film vengono recitate dalla scrittrice e attivista Toni Morrison una serie di poesie di James Baldwin, Bruce Nuget (1906-1987), Hilton Als e Essex Hemphill stesso. 

Looking for Langston, concepito appunto come una meditazione su Langston Hughes e il Rinascimento di Harlem, segue il desiderio di riportare all’attenzione del pubblico il contributo culturale e politico di queste figure. È curioso poi che, per quest’opera, Isaac Julien abbia dovuto affrontare difficoltà legali a seguito di alcune rimostranze avanzate dalla Hughes Estate, che si ritenne offesa per la rappresentazione di Langston Hughes come icona gay, ignorando completamente le vere intenzioni dell’operazione di Julien. Il film, quindi, al momento della presentazione al pubblico durante il New York Film Festival del 1989, fu proiettato in una versione censurata come conseguenza dell’ingiunzione presentata dagli eredi del poeta (Yelin, 2009).

 

Isaac Julien, Looking for Langston, 1989, still dal video. Courtesy: Isaac Julien Studio

 

L’opera rifiuta un approccio documentale nel senso stretto del termine e piuttosto crea uno spazio-tempo ibrido, in cui Langston Hughes rappresenta sia l’oscurantismo storico della presenza queer nella cultura afroamericana sia la situazione attuale in cui si interfacciano gli artisti neri e queer. Attraverso la figura di Hughes, Isaac Julien riesce quindi a offrire un’interpretazione personale del passato culturale e sociale afroamericano e queer, trasponendolo come argomento di discussione contemporaneo.

 

Isaac Julien, Looking for Langston, 1989, still dal video. Courtesy: Isaac Julien Studio

 

Bibliografia

Altman, K. L. (1981), “Rare Cancer Seen in 41 Homosexuals”, The New York Times. Disponibile: https://www.nytimes.com/1981/07/03/us/rare-cancer-seen-in-41-homosexuals.html (Accesso 12 aprile 2023)

Fischer, T. (2008), “Isaac Julien: Looking for Langston. Montage of a Dream Deferred”, Third Text, pp. 59-70. Doi: http://dx.doi.org/10.1080/09528829008576278

Grundmann, R. (1995), “Black Nation and the Rest in the West,” Cineaste, 21 (1/2), pp. 28-31. 

Hooks, b. (1991), “States of Desire” Transition, 56, pp. 168-184.

Morrow, B. (1995) “An Interview with Isaac Julien,” Callaloo, 18 (2), pp. 406-415. Disponibile: https://www.jstor.org/stable/3299087 (Accesso 12 aprile 2023).

Muñoz, J. E. (1999) Disidentifications. Queers of Color and the Performance of Politics, University of Minnesota Press, Minneapolis.

Shin, C.Y. (2003) “Reclaiming the corporeal: the black male body and the ‘racial’ mountain in ‘Looking for Langston’”, Paragraph 26 (1), pp. 201-212. Disponibile: https://www.jstor.org/stable/43263724 (Accesso 23 aprile 2023).

Yelin L. (2009) “Callin’ out around the world: Isaac Julien’s new ethnicities”, Atlantic Studies: Global Currents, 6 (2), pp. 239-253. Doi: http://dx.doi.org/10.1080/14788810902981126

 

Biografia

Diletta Piemonte (Vicenza, 1996) è curatrice indipendente e art advisor; attualmente collabora con la galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea di Milano, dove vive dal 2018. Ha lavorato presso le Galleria dell’Accademia di Venezia e Flash Art magazine, continuando in parallelo con la sua attività di curatrice indipendente e autrice di testi critici, collaborando con la curatrice indipendente Amina Berdin.