Internauti è un laboratorio di scrittura creativa volto a stimolare un approccio critico ai linguaggi artistici propri della cultura contemporanea. Sviluppato all’interno del Master of Arts in “Multimedia Arts and Design” RUFA, il progetto ha visto coinvolti le studentesse e gli studenti del corso di Regia Multimediale, che durante l’anno accademico hanno riflettuto sulle tematiche proprie della condizione post-mediale.

 

Frammenti di sguardi e identità liquide: la ricerca del sé nell’universo virtuale.

di Elisa Catalano

 

Viviamo in una società pornografica. Cosa significa “pornografico” nel contesto della società contemporanea? Che ruolo ricoprono mass media e i social network nel processo di pornografizzazione della vita quotidiana? L’hashtag #foodporn, i selfie in bagno, le foto in pose ammiccanti sono solo alcune delle rappresentazioni della mutazione pornografica dello sguardo della società occidentale.

Questo mutamento non si limita allo sguardo ma si configura come trasformazione sociale e antropologica: la velocità negli spostamenti e nelle comunicazioni ha causato un’accelerazione dei tempi e dei ritmi della vita quotidiana. La natura dei media elettronici si adatta perfettamente a questa velocità, proponendo visioni immediate ed effimere, frammentando i contesti e le immagini e indirizzandole continuamente verso una multivisione che deforma l’attenzione nei confronti dell’altro. In questo modo la centralità e l’unidirezionalità dello sguardo vengono meno e lasciano il posto a una frammentazione che si dispiega in molteplici direzioni. Da un contenuto a un altro, si aprono finestre infinite che si intersecano vicendevolmente, esponendo diversi angoli dell’alterità. «Questa multiprospettiva coincide con la moltiplicazione dei luoghi da esperire, che si confondono fra on-line e off-line e che possono talvolta essere raggiunti tutti nello stesso istante» (Mascio, 2009, p. 186).

I limiti del corpo e dell’immaginazione umani subiscono ri-definizioni continue che si ripercuotono sulla natura stessa delle relazioni corporee: la possibilità di conoscersi e di conoscere altri individui online espande a dismisura gli orizzonti relazionali, prima limitati al proprio contesto territoriale ed esperienziale fisico. «L’evoluzione dei media ha diminuito il significato dell’essere fisicamente presenti nel fare esperienza di persone e fatti […] Dove ci si trova è sempre meno legato alle proprie conoscenze ed esperienze. I media elettronici hanno modificato il senso del tempo e dello spazio nell’interazione sociale» (Meyrowitz, 1985; “Prefazione”). 

Ciò che conta è essere in rete, connessi all’Altro con il quale si interagisce e per il quale ci si esibisce. 

La frammentazione dello sguardo coincide con una liquefazione dell’identità: il soggetto contemporaneo agisce nel virtuale una continua “ri-creazione” del sé, alla ricerca della propria identità (reale, virtuale, ideale, sperimentale) che si definisce in una dimensione narrativa e comunicativa. Nel virtuale ci si mostra, ci si racconta, ci si espone pubblicamente e si viene interpretati dall’altro e il continuo riscontro delle interpretazioni possibili contribuisce a un’ulteriore ri-definizione della propria identità, che diviene malleabile, mutevole, liquida (adattandosi al contenitore e alla forma dei corpi che vi si immergono). Parafrasando Helena Velena si potrebbe dire che ogni individuo in quanto utente esiste solo in funzione dell’immagine virtuale di sé che comunica agli altri utenti. Interagisco quindi sono potrebbe essere una chiave di lettura dell’identità contemporanea. In questo modo il soggetto non è più tale, ma diviene oggetto dell’interpretazione altrui.

La pornografia rappresenta in maniera plastica la velocità della vita contemporanea. I contenuti che propone presentano titoli accattivanti concepiti per catturare immediatamente l’attenzione del fruitore, che con altrettanta rapidità valuta il suo interesse per il contenuto che gli viene presentato e decide se consumarlo o continuare la sua ricerca. La pornografia online contemporanea è fatta di contenuti di durata brevissima, privi di una vera e propria narrazione, «ridotti all’osso (o forse sarebbe meglio dire alla carne)» (Attimonelli, Susca, 2016). A volte, al fine di trattenere (e intrattenere) lo spettatore, si entra nell’azione in medias res. 

Negli ultimi anni, con l’adozione di massa delle piattaforme sociali, elementi un tempo esclusivi del linguaggio pornografico si sono diffusi tra gli individui comuni che li utilizzano per costruire la propria identità digitale. L’esibizione strumentale del corpo, l’utilizzo di messaggi ambigui e ammiccanti, la condivisione di momenti generalmente considerati intimi e personali, l’invito implicito al voyeurismo tipici della pornografia sono diventati elementi chiave del modo in cui le persone si esibiscono sui loro profili sociali nel tentativo di essere approvati, ammirati, desiderati. Quando la ricerca di approvazione diventa motore della costruzione della propria identità, la degenerazione è inevitabile: alla ricerca della propria interiorità si predilige la mimesi, la finzione, la costruzione di immaginarie identità multiformi progettate per riscuotere il plauso e la validazione dell’altro, a scapito della propria natura e finendo così per perdere se stessi in un processo di frammentazione e dissolvimento dell’io.

Sul concetto di frammento riflette Pixxxel, servizio del fotografo francese Jean-Yves Lemoigne dedicato alla pornificazione degli immaginari digitali e alla pixellizzazione degli immaginari sessuali. Il soggetto delle foto è una pornomusa la cui figura è censurata dal fotografo attraverso pixel tridimensionali, materici, somiglianti a cubetti. Nella trasformazione del corpo della donna in una ironica costruzione di Lego “per adulti”, la carne si fa oggetto di visual design, esaltando la relazione tra lo sguardo e la tecnologia che lo perturba.

 

Jean-Yves Lemoigne, PIXXXEL, 2009, Courtesy of the artist.

 

Nel servizio fotografico di Lemoigne traspare la “digitalizzazione del desiderio” attraverso la binarizzazione protocollare della carne. Blocchetti di 0 e 1 si incarnano sullo schermo svelando la spinta indicibile del nostro rapporto all’altro: farlo a pezzi. Per poi montarlo e smontarlo infinite volte come una Poupée bellmeriana. Fare del corpo un’immagine a mattoncini, rendere l’altro e […] noi stessi una scultura malleabile e proteiforme su cui proiettare frammenti di godimento e desiderio di metamorphing. (Ciuffoli, 2009, p.201)

Jean-Yves Lemoigne aveva esposto, già nel 2009, la natura dell’esibizionismo digitale contemporaneo, fondato sulla costruzione di identità liquide e composite il cui fine ultimo è la generazione di desiderio: identità modulari, componibili in modi diversi a seconda del linguaggio e delle esigenze specifiche della piattaforma sociale di turno. Spinta da una ricerca di consenso l’identità, aderendo a rigide regole comunicative, si fa uniformità, proiezione dei desideri e delle fantasie dello sguardo dell’altro. 

 

Jean-Yves Lemoigne, PIXXXEL, 2009, Courtesy of the artist.

 

La solitudine connessa: L’individualismo tossico nell’era digitale.

di Giuseppe Di Capua

 

L’individualismo nell’era digitale si palesa come una forza silenziosa che plasma le esperienze online e definisce la natura delle connessioni virtuali. La personalizzazione dell’esperienza online, al centro di questo fenomeno, è un’arma a doppio taglio che dona un senso di unicità, dalla quale chiunque sarebbe attratto, ma allo stesso tempo contribuisce alla mera creazione di consumatori isolati, immersi in un mondo virtuale guidato dagli algoritmi.

La personalizzazione delle piattaforme digitali, permessa dalla raccolta massiccia di dati personali, mira a creare un ambiente su misura per ciascun utente. Questo approccio sembra inizialmente positivo, promettendo un’esperienza online su misura per le esigenze e i desideri individuali. Tuttavia, dietro il design psico-ergonomico della facciata personalizzata si nasconde un rischio significativo: la creazione delle cosiddette eco chambers digitali che isolano gli individui all’interno di una bolla di informazioni che riflette e rafforza le loro convinzioni preesistenti.

Gli algoritmi, impegnati nella manipolazione delle informazioni, sono progettati per anticipare e soddisfare i desideri degli utenti, creando un ambiente digitale che riflette ciò che gli utenti vogliono vedere e sentire. In questo processo, i consumatori isolati, intrappolati in una spirale di conferma che limita la diversità di opinioni e punti di vista, vagano nella rete bypassando la realtà. La diversità delle prospettive, fondamentale per una società vibrante e inclusiva, viene compromessa in nome della personalizzazione. Inoltre, l’individuo, immerso nella propria bolla di contenuti personalizzati, potrebbe perdere l’opportunità di esplorare idee nuove o di entrare in contatto con esperienze e culture diverse.

In questo contesto, l’arte e la creatività diventano strumenti potenti per esplorare e criticare le dinamiche sociali ed economiche dell’era digitale, stimolando la riflessione critica e promuovendo un senso di appartenenza e solidarietà. Come nella società così nell’arte vi è stato un grande cambiamento, messo in atto dalla tecnologia promuovendo un senso di totale libertà agli artisti e ai fruitori. Questa libertà per avere valenza artistica però presuppone che l’artista sia responsabilizzato e che abbia una percezione, seppur diversa, dei limiti. Dunque alla continua necessità dell’arte e dell’artista di esplorare “irresponsabilmente” le soglie più estreme, corrisponde la responsabilità di darsi delle regole (Rosa P., 2019). Attraverso la creazione artistica, le persone possono esprimere le proprie esperienze e sfidare le narrazioni dominanti, contribuendo così a costruire una società più giusta e inclusiva per tutti. Inoltre, i new media artist possono svolgere un ruolo significativo nel sollevare e affrontare temi sociali rilevanti nella rete. Attraverso l’uso creativo della tecnologia e dei media digitali, artisti come Aram Bartholl, Ingo Gunter oppure Eva e Franco Mattes con le loro opere Dead Drops, Forgot your password, Refugee Republic e Not fun sensibilizzano il pubblico su questioni come la disuguaglianza digitale, la dipendenza da internet, la sorveglianza online, la manipolazione dell’informazione e molti altri aspetti critici della società digitale.

Inoltre, l’arte interattiva e partecipativa nel web può favorire un coinvolgimento più profondo e significativo del pubblico, incoraggiando la riflessione critica e la partecipazione attiva nella discussione sui temi sociali online. Questo tipo di coinvolgimento può contribuire ad amplificare le voci di coloro che sono marginalizzati o sotto-rappresentati nelle dinamiche online dominanti. Il percorso virtuale tracciato dagli algoritmi diventa quindi una sorta di autostrada dell’individualismo, dove ogni utente viaggia in isolamento, circondato da contenuti che confermano e rafforzano le sue prospettive. In conclusione, l’individualismo nell’era digitale presenta sfide significative per la costruzione di una società coesa e inclusiva. Esaminare criticamente il modo in cui la tecnologia modella le nostre interazioni è essenziale per affrontare gli impatti negativi dell’isolamento digitale e per promuovere una connettività che celebri la diversità e la complessità del mondo che ci circonda.

 

Wearable technologies: dicotomia della carne umana.

di Silvia Baldo

 

Viviamo in un’era in cui il corpo e la tecnologia si intrecciano, nella quale veniamo portati a interrogarci sul concetto di identità personale-tecnologica. Nel Manifesto cyborg di Haraway (1985), il concetto stesso di cyborg rappresenta l’intersezione complessa tra il corpo umano e una realtà esterna, in cui la tecnologia diventa un’estensione delle nostre membra e della nostra esperienza del sé. Il concetto di cyborg oggi non è più solo un’immagine che rientra nella sfera della fantascienza, bensì una realtà concreta che permea sempre più il tessuto della nostra società.  Il concetto di corpo stesso sta subendo una ridefinizione, spingendoci a considerare nuove forme di alfabetizzazione e una maggiore consapevolezza della nostra corporalità tecnologica.

In che modo possiamo superare oggi la standardizzazione del tessuto corporeo che ci circonda riconoscendo che, in un certo senso, siamo tutti diventati sinonimi di cyborg? Quali sono i rischi e le complicazioni che l’umanità può affrontare se non studia queste nuove tecnologie osservandole dall’esterno?

Le wearable technologies, ovvero tutte quelle categorie di oggetti tecnologici che entrano in sinergia con il nostro tessuto corporeo, sono oggi il link più diretto con la nuova definizione stessa di essere umano, in un’epoca dell’Antropocene dove l’uomo è fautore di tutto ciò che lo circonda e anche di tutto ciò che lo compone nella struttura stessa del sé. Haraway conclude il manifesto esortandoci ad approfondire la nostra post-modernità, assumendoci la responsabilità per la corporalità tecnologica che ci caratterizza: viviamo ormai all’incrocio tra il corporeo e il tecnologico. Verrebbe da chiedersi cosa conti davvero per l’essere umano in questo mondo postumano e quale sia la visione del sé che meglio possa descrivere il concetto di umanità stessa. 

L’artista che lavora con la New Media Art agisce nella trasversalità dei linguaggi, ma anche sulle modalità generative e sui processi formativi dell’atto creativo. Tra i campi di interesse, artisti come Luca Pagan o Neri Oxmann hanno dimostrato come, attraverso la manipolazione di oggetti tecnologici in relazione al corpo, si apra un campo di interesse sempre più vasto che sarà in grado di influenzare in modo irreversibile la nostra cognizione incarnata, tanto da farci percepire la tecnologia come estensione del nostro io ibridato. Ciò avrà un impatto significativo sui nostri parametri vitali e sui nostri stili di vita: diventa fondamentale il raggiungimento di una consapevolezza di quali siano questi parametri e in quale modo possano essere modificati. 

Ne Il visconte cibernetico, Andrea Prencipe e Massimo Sideri (2023, p.63) affermano che il post-umano è un luogo colmo di risposte e privo sempre più delle giuste domande, l’uomo del futuro è un cyborg senza memoria o abilità di immagazzinare le idee e, ancor peggio, senza l’abilità di generarle. Urge al più presto uno stravolgimento della prospettiva: uno sguardo sulle estensioni tecnologiche – siano esse interne o esterne – che non solo ne veda le potenzialità espressive, ma che in primis le osservi nella loro natura antropologica come estensioni della carne e non come superflui abbellimenti del sé. In un’epoca soffocata dalle risposte diventa necessario imparare a fare le giuste domande alle tecnologie poiché esse sono parte di noi, e nessuno porrebbe a sé stesso domande insensate o prive di significato. Il ribaltamento della prospettiva di osservazione, qui parlo del vedere e non del guardare, è un passo immenso che l’essere umano deve compiere per il suo stesso progresso evolutivo. 

La pratica di hackeraggio, da intendere come modifica consapevole per un ribaltamento di paradigma, diventa dunque tecnica popolare che permette la manipolazione consapevole degli strumenti tecnologici e digitali che sono in stretto contatto con il nostro corpo, diventando cruciale per modificare la nostra esperienza, poiché sono parte del sé. È fondamentale che la realtà continui a fluire con la tecnologia poiché da essa viene influenzata.

Tuttavia, qualora tali modifiche dovessero avvenire per mano di terzi, verrebbe messa a rischio la nostra autodeterminazione. In una realtà che si riflette attorno al capitale, si pensi ai media e in particolare a tutta l’industria pubblicitaria, possiamo affermare che oggi noi siamo i nostri dati, e da una raccolta pretenziosa e incondizionata di questi – i dati – non possiamo escludere una contaminazione delle scelte, rese allora inconsapevoli, subordinate, condotte. 

Nel corso degli anni, sono diverse le dimostranze che riportano come l’utilizzo di tecnologie wearable sia stato ampiamente investigato in ottica di esplorazione dell’io, arrivando a diventare strumento fondamentale per l’esternazione dell’identità personale e la propria emancipazione. 

Nel campo artistico, così come in altri aspetti della cultura giovanile, il Cyberfemminismo è uno degli esempi di maggior successo. Cindy Sherman, attraverso le sue opere d’arte, rappresenta la freddezza e lo splendore dei corpi macchina che non sono più presi nella dicotomia: o corpo o macchina, ma che sanno fondere entrambi in un nuovo insieme (Haraway, 1985, p.34). Haraway (1985) solleva il problema del ruolo dell’immaginazione nelle rivoluzioni scientifiche e di come la finzione e la scienza possano essere ripensate su nuove basi per formare una nuova unità. È necessario sviluppare nuove forme di alfabetizzazione per decodificare il mondo odierno, senza cadere nel logocentrismo, e parlare in modo persuasivo del mondo tecno-scientifico. 

Laura Benitez ne L’elettronica è donna (Attimonelli, Tomeo, 2022, p.69), evidenzia l’hackeraggio come un modo per investigare e operare sui saperi del corpo (e quindi della mente), a partire dalla loro consistenza come materia, non come essenza.

 

Il teatro cyborg per un nuovo ruolo dello spettatore

di Anthony Tony Jugo

 

La crisi demografica che colpisce le civiltà occidentali avanzate è un problema sociale che ha una ricaduta importante sul teatro. Il teatro è infatti un luogo dove la carenza di pubblico giovane è particolarmente sensibile. È pertanto il tipo di produzione culturale che maggiormente necessita di strategie per diversificare il pubblico e attirare le nuove generazioni. Questa esigenza è testimoniata dall’attenzione con cui i teatri guardano a questo problema, tant’è vero che spesso viene affidato a manager il compito di individuare le strategie per coinvolgere segmenti diversi della popolazione, ma soprattutto è testimoniato dalle iniziative specificamente rivolte alle fasce giovani della popolazione, come i matinée a prezzi ridottissimi, che presentano anche versioni di durata ridotta degli spettacoli.

Da un punto di vista dello sviluppo della sperimentazione artistica nelle produzioni teatrali contemporanee, invece, lo strumento per attirare i giovani potrebbe essere quello di proporre un nuovo ruolo per lo spettatore, da recipiente passivo di un’offerta alla quale è estraneo a un partecipante attivo e direttamente coinvolto nella produzione artistica. Il mezzo per questo coinvolgimento è costituito dalle tecnologie virtuali, che sono in grado di attirare particolarmente le nuove generazioni. Lo spettatore diventa allo stesso tempo un prosumer e un avatar, partecipa alla creazione artistica in un ambiente digitalizzato di realtà virtuale. (Giannachi, 2004, p. 123, tr. mia).

È quanto accade per esempio nel teatro cyborg, la sperimentazione artistica che «si occupa principalmente della modificazione e dell’aumento dell’umano, ma anche dell’intreccio tra l’umano e l’ambiente, sia nel mondo “reale” che in quello simulato del World Wide Web» (Ivi, p. 43). In tale forma artistica, si realizza infatti un processo di ibridazione dello spettatore, con l’espansione nel virtuale della sua esperienza, e al tempo stesso il passaggio a un suo ruolo attivo, attraverso l’interazione con l’attore: «il teatro cyborg si svolge sempre attraverso e sul corpo del performer, dove il corpo stesso diventa sia il laboratorio che il teatro dell’opera» (Ibidem). Il teatro cyborg è pertanto un esempio perfetto dell’evoluzione del concetto “classico” di spettatore. In esso, infatti, «lo spettatore viene trascinato direttamente nella performance e diventa così l’ultima componente protesica, sia letteralmente che metaforicamente, del corpo modificato del performer» (Ibidem). Lo spettatore è dunque non solo attivo nella produzione artistica attraverso il corpo del performer ma lo è anche in un formato ibrido tra reale e virtuale. 

Un’altra forma sperimentale di teatro che mette particolarmente in luce il processo di ibridazione dello spettatore è quella che prevede l’esecuzione attraverso l’ipersuperficie. «L’ipersuperficie è il luogo in cui il reale e il virtuale si incontrano: è materialità e testualità, reale e rappresentazione. È anche il luogo della performance virtuale. Attraverso l’ipersuperficie, lo spettatore può entrare nell’opera d’arte, farne parte e interagire con essa» (Ivi, p. 95). In questa forma artistica si realizza dunque lo spettatore ibrido, che con l’ipersuperficie «può raddoppiare la propria presenza ed essere contemporaneamente nell’ambiente reale e in quello virtuale» (Ibidem) e al tempo stesso, lo spettatore diventa il prosumer che opera sia nel mondo reale sia nel mondo virtuale «e può modificare l’uno attraverso l’altro» (Ibidem). Questa potrebbe pertanto essere la direzione verso l’hackeraggio della realtà virtuale con lo scopo di influire positivamente sul mondo reale, migliorandolo. 

Le tendenze sperimentali descritte possono essere messe in relazione ad un esempio concreto, quello di una recente produzione teatrale del regista croato Nenad Glavan dal titolo Mindpolis 1.0, che utilizza la tecnologia per creare un collegamento tra spettatore e prosumer, oltre a farlo operare in una modalità ibrida. Mindpolis 1.0 sfrutta infatti la potenzialità offerta dagli smartphone, coinvolgendo lo spettatore attraverso un’applicazione che costituisce sia il ponte tra reale e virtuale sia lo strumento di partecipazione del prosumer. L’utente ibridizzato infatti entra a far parte di una comunità virtuale legata allo spettacolo alla quale deve contribuire con suoi contenuti originali. Si tratta dunque di un processo che richiede un ruolo particolarmente attivo per lo spettatore. In questa sperimentazione, non basta più acquistare un biglietto e assistere allo spettacolo. Per sua libera scelta, lo spettatore deve interagire, nel caso di Mindpolis 1.0 mediante l’applicazione, e diventare parte di una comunità digitale. Questo ruolo attivo degli spettatori nello spettacolo li rende simili ad un moderno, e virtuale, coro delle tragedie greche, un coro antico ibridizzato con contaminazioni virtuali, un’assemblea dialogante che partecipa commentando. Si tratta di un approccio bottom-up che va nella direzione della democratizzazione della cultura e della partecipazione alla produzione artistica. In questo modello non esiste più la separazione tra l’istituzione-teatro e lo spettatore, ma viene data a tutti la possibilità di creare arte, seppure a livello amatoriale. 

Si realizza dunque un’arte diffusa, un’arte collettiva e plurale, in cui si mischiano autori, interpreti e spettatori in un alto grado di interazione. Ma c’è un’altra considerazione. Il ruolo attivo dello spettatore-prosumer si svolge tutto nella dimensione spazio-temporale, ma il risultato che se ne ottiene, il premio per così dire, è invece nella realtà virtuale. L’utente si impegna nella realtà per un beneficio della sua identità virtuale. Davvero si può ormai parlare di cibernetizzazione dello spettatore, e davvero l’hackeraggio del virtuale può essere lo strumento per invertire il beneficio dal virtuale al reale.

 

 

Nenad Glavan, Mindopolis 1.0, 2023, Courtesy of the artist.

 

Bibliografia

Attimonelli C., Tomeo C., (2022), L’elettronica è donna’, media, corpi, pratiche transfemministe e queer. Castelvecchi, Roma.

Attimonelli C., Susca V. (2016), Pornocultura. Viaggio in fondo alla carne, Mimesis Edizioni Sociologie, Milano.

Capecchi S., Ruspini E. (a cura di) (2009), Media, corpi, sessualità, FrancoAngeli, Milano.

Ciuffoli E., Wired for Sex. Pornoperformatività in rete in Capecchi S., Ruspini E. (a cura di) (2009), Media, corpi, sessualità, FrancoAngeli, Milano.

Giannachi, G. (2004), Virtual theatres : an introduction, Routledge, Oxon.

Haraway J. D., (1995), Manifesto cyborg, Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano.

Mascio A., Io Porn. Il protagonismo pornografico in Internet in Capecchi S., Ruspini E. (a cura di) (2009), Media, corpi, sessualità, FrancoAngeli, Milano.

Principe A., Sideri M., (2023), Il visconte cibernetico. Italo Calvino e il sogno dell’intelligenza artificiale, Luiss, Roma.

 

Sitografia

Bartoll, H. (2010), Dead Drops, disponibile su: https://arambartholl.com/dead-drops/ (ultimo accesso febbraio 2024).

Bartoll, H. (2013), Forgot your password? Disponibile su: https://arambartholl.com/forgot-your-password/ (ultimo accesso febbraio 2024).

Günther, I. (2012), Refugee Republic 3.0, disponibile su: http://refugee-republic.squarespace.com/refugee-republic-20/ (ultimo accesso febbraio 2024).

Mattes, E., F. (2010), No Fun, disponibile su: https://0100101110101101.org/no-fun/ (ultimo accesso febbraio 2024).

Musa Formazione, L’etimologia dell’hacker, disponibile su: https://www.musaformazione.it/letimologia-dellhacker/  (ultimo accesso febbraio 2024).

Schneegans S., Schöner G., (2008), Embodied cognition, Science Direct. Disponibile su: https://www.sciencedirect.com/topics/neuroscience/embodied cognition#:~:text=In%20this%20approach%20to%20human,fundamentally%20integrated%20with%20cognitive%20processing. (ultimo accesso: Febbraio 2024).

 

Teatrografia

Glavan, N. Mindpolis 1.0. (2023), Associazione artistica Skop, Croazia.

 

Biografia

Daniele Falchi è un giovane artista, critico e curatore che focalizza la propria ricerca nel campo del cinema e della media art. Ha completato il suo percorso di studi in RUFA – Rome University of Fine Arts, dove ha continuato ad insegnare in qualità di cultore della materia. È docente di “Elementi di Produzione Video” e “Digital Video” presso la DAM Academy di Roma. Dal 2019 collabora con Dancity Festival organizzando talk, mostre e incontri sulla cultura contemporanea. Nel 2020 ha partecipato al Romaeuropa Festival con l’installazione “THE POST-FUTURIST CAVE”, nell’ambito della rassegna Digitalive. La sua ultima pubblicazione, “Techno-menadi. Dal mondo classico all’Occidente contemporaneo” è contenuta all’interno di “L’Elettronica è Donna. Media, corpi, pratiche transfemministe e queer“, edito da Castelvecchi Editore nel 2022.