Courtesy Olia Svetlanova

 

Leggo La scienza come professione (2004) e immagino Max Weber di fronte a una classe affollata di studenti assorti nei suoni che uscivano dalle sue labbra nascoste sotto la barba brizzolata. Era il 7 novembre 1917 e ormai da alcuni minuti Weber enunciava solennemente le parole che aveva accuratamente scelto per il suo intervento al ciclo di conferenze indetto dalla Libera alleanza studentesca (Freie Studentenschaft). Non poteva sapere che il breve concetto delineato di lì a poco avrebbe avuto grande fortuna nei decenni a venire e sarebbe stato impresso in molte pagine scritte da una moltitudine di autori.

– La crescente intellettualizzazione e razionalizzazione non significa dunque una crescente conoscenza generale delle condizioni di vita alle quali si sottostà. Essa significa qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che, se soltanto si volesse, si potrebbe in ogni momento venirne a conoscenza, cioè che non sono in gioco, in linea di principio, delle forze misteriose e imprevedibili, ma che si può invece – in linea di principio – dominare tutte le cose mediante un calcolo razionale. Ma ciò significa il disincantamento del mondo. Non occorre più ricorrere a mezzi magici per dominare gli spiriti o per ingraziarseli […]. A ciò sopperiscono i mezzi tecnici e il calcolo razionale –, affermava (Weber, 2004).

Secondo Max Weber quindi la razionalizzazione intellettualistica a opera della scienza e della tecnica – il processo di disincantamento – non necessariamente comporta l’acquisizione di conoscenze maggiori nella vita pratica quotidiana. Il sociologo propone un esempio molto semplice. Per prendere il tram non si ha bisogno di sapere come lo si costruisce o come esso si mette in movimento. Il disincanto però comporta la certezza che il tram non sia mosso da forze soprannaturali e che si potrebbe accedere alla conoscenza di tutti i suoi funzionamenti.

Ma da quando la cultura occidentale ha iniziato a rimuovere il mondo incantato dalla sua prospettiva? Max Weber individua un primo passo nell’impresa compiuta da un uomo ben conosciuto, il protagonista del mito platonico della caverna che abbandona impavido e disorientato i compagni per dirigersi verso il sole – verso «la verità della scienza, che sola non va in caccia di fantasmi e ombre ma del vero essere» (Weber, 2004). In questo momento si era scoperto il significato di un primo grande strumento della scienza: il concetto logico. Come prodotto del Rinascimento si consolida poi un altro fondamentale e rivoluzionario mezzo: l’esperimento scientifico razionale caposaldo della scienza moderna. Da questo periodo culturale emerge una nuova visione di umano, padrone di se stesso e della sua storia, che smette di brancolare nella notte in balia di forze incontrollabili. Esso ha fiducia nella sua coscienza e la impiega come strumento per scoprire, classificare e dominare. Ha eliminato la paura e lo stupore. Ha traslocato definitivamente dal giardino incantato e relega nella fantasia tutto ciò che non fa parte dei fenomeni che sta imparando a leggere e controllare. In questo nuovo ambiente che gestisce con il suo sguardo imperante oppone il mito alla ragione e la superstizione alla conoscenza. Nei secoli a venire avrebbe vissuto certo della lineare direzione da seguire e sicuro abitante di un reale dove tutto può essere chiarito grazie al causale meccanismo di leggi fisiche.

In un passaggio del libro Tecnomagia, Vincenzo Susca propone un riassunto dei processi avvenuti dal periodo storico appena delineato, mettendo in evidenza il processo di sistematizzazione e divisione compiuto sulle due sfere della fede e del soprannaturale da un lato e della scienza e della tecnica dall’altro:

 

L’effervescenza religiosa è stata estirpata dal corpo tribale e istituzionalizzata nella trascendenza dei testi sacri […]; la magia è stata relegata negli inferi del quotidiano e stigmatizzata come religione delle masse o nebbia della coscienza; la tecnologia è stata presentata come un mezzo di dominio dell’essere umano sulla natura […]. […] Si sono diffuse le scienze a partire dal presupposto della distinzione tra il soggetto del sapere e l’oggetto della conoscenza, con l’ambizione dell’oggettività, della misurazione perfetta, del calcolo preciso, della previsione esatta. (Susca, 2022, p. 121)

 

Scienziati e filosofi iniziarono a impiegare un gran numero di strumenti meccanici per descrivere e organizzare il mondo naturale. Ma come affermano Natale e Pasulka (2019, p. 2) nell’introduzione alla raccolta di saggi Believe in Bits, ironicamente questi stessi mezzi hanno agito come canali attraverso cui accedere alla dimensione del soprannaturale che si stava scrupolosamente rimuovendo. Le tecnologie della scienza e della comunicazione divennero allo stesso tempo strumenti di incanto e di disincanto (Ibidem).

Alcuni studi presi in esame nel saggio Information Theory of the Soul osservano ad esempio come le pratiche del movimento religioso dello spiritismo fossero ispirate al contemporaneo telegrafo elettrico (Ennes, 2019, p. 37). Lo spiritismo americano prese le mosse nella metà del diciannovesimo secolo dalle sorelle Fox ed era basato sulla credenza di un possibile contatto con gli spiriti dei defunti. Kate e Margaret Fox erano divenute sin da giovani medium di tutto rispetto e, durante le sedute, sedevano attorno a un tavolo circondate da una curiosa e spaventata classe agiata newyorkese. In questi ambienti quasi bui si mettevano in comunicazione con gli spiriti per domandare, a seconda delle richieste, delucidazioni di natura economica o sentimentale. Gli spiriti educatamente non mancavano mai di rispondere alle domande a loro poste utilizzando una sequenza di colpi. Non distante in termini di funzionamento, anche la nuova tecnologia del telegrafo permetteva una comunicazione incorporea a grandi distanze grazie alla trasmissione di sequenze di impulsi (Ibidem). Secondo gli studiosi tali pratiche rappresentavano un tentativo di sacralizzare e trovare un senso trascendentale nelle nuove tecnologie, in modo da ristabilire un’unità sociale fondata sulla spiritualità, a quel tempo minacciata dalle forze della modernità (Ibidem).

Venendo al nostro ambiente contemporaneo, non risulta per nulla difficile rendersi conto di come una moltitudine di rituali, credenze e speculazioni risiedono anche nella nostra relazione con le tecnologie digitali.

Da un lato si osserva come le pratiche religiose, spirituali e magiche si manifestano nella cultura digitale. In particolar modo dal secondo decennio del nuovo millennio, i nuovi media sono divenuti comuni canali di esperienza religiosa (Dos Santos, 2020, p. 145). Dal momento che essi sono completamente integrati nel nostro quotidiano, le differenziate modalità di fede online sono ormai considerate dagli studiosi un’espressione essenziale della cultura religiosa e spirituale (Campbell, 2013, p. 4). Gli spazi virtuali sono il luogo per sviluppare e praticare forme tradizionali, nuove o ibride di fede e offrono al singolo un ambiente per esprimere la propria identità e pratica religiosa (Dos Santos, 2020, p. 145; Campbell, 2013, p. 10). Tra lo sterminato numero di esempi: Bible VR, il meditativo viaggio immersivo in RV verso l’illuminazione del guru New Age Deepak Chopra Finding Your True Self, ma anche progetti artistici e politici ambientalisti come la Church of Euthanasia fondata da Chris Korda e Robert Kimberk sullo slogan “SAVE THE PLANET. KILL YOURSELF” e gli studiatissimi centri buddisti su Second Life.

Dal lato opposto – forse il punto più interessante della questione in analisi – risiede invece il riconoscimento che il legame tra media digitali e la sfera religiosa, spirituale e magica non soltanto si manifesta nella proliferazione digitale di culti e pratiche «ma soprattutto elevando spiritualmente gli oggetti, le pratiche o le immagini» (Susca, 2022, p. 19). Da sempre il discorso scientifico e popolare sulle nuove tecnologie viene influenzato e guidato da miti1, speculazioni e fantasie. I nostri sistemi di credenze plasmano e definiscono le nostre esperienze e interazioni nel mondo. E nel contemporaneo ipertecnologico questo significa che essi agiscono e condizionano il modo di percepire, impiegare e dare forma alle tecnologie e agli ambienti digitali. In altre parole, i media digitali devono essere anche analizzati attraverso i sistemi di credenze e i rituali che li circondano (Natale, Pasulka, 2019, p. 2).

Al tramonto dello scorso millennio lo scrittore americano Erik Devis si trovava in procinto di dare alla luce uno dei libri a mio parere fondamentali della letteratura sul tema: Techngnosis, miti magia e misticismo nell’era dell’informazione. Guardandosi attorno dal centro geografico dello sviluppo tecnologico si era proposto di indossare nuove lenti per poter comprendere il paradosso dei fenomeni che lo stavano circondando. Personal computer, ambienti virtuali e reti convivevano con maestri di autoterapia e consulenti aziendali che diffondevano principi New Age, rituali tecnopagani2, I-Ching in CD-ROM, numeri strabilianti di fanatici accalcati nei negozi di gadget sugli UFO, Dio ormai divenuto uno dei cover boy preferiti del Time, disparate correnti di Buddismo in technicolor, caritatevoli angeli di Oprah Winfrey ostentanti le identificative spille sui vestiti e viaggi spirituali nel cyberspazio3. Secondo Davis (2001, p. 22) questi erano chiari segnali che «le persone che abitano tutte le frequenze dello spettro socioeconomico sono decisamente orientate verso alcuni tra gli strumenti di navigazione più anticamente noti al genere umano: la speculazione sacro-rituale e quella metafisica; regime spirituale e linguaggio naturale». Individui e comunità hanno costruito prospettive di senso e quindi visioni del mondo che altro non sono che espressione del desiderio – o necessità – di confrontarsi e orientarsi nella stranezza dei loro giorni. Siamo «una cultura ipertecnologica e cinicamente postmoderna, che sembra dirigersi, come una falena, verso i bagliori delle fiamme della mente premoderna» (Ibidem). E continua Davis: «I vecchi fantasmi e i desideri metafisici non sono scomparsi del tutto. In molti casi essi si sono camuffati e hanno proceduto sottoterra scavandosi la loro strada, come lombrichi, nei movimenti culturali, psicologici e metodologici che stanno alla base del mondo moderno» (Ivi p. 23). Non tanto la scienza moderna e il suo lucido calcolo hanno mancato la promessa di rompere gli incantesimi e far luce sul mondo materiale rendendolo completamente trasparente e leggibile. Una delle possibili motivazioni del persistere di modi irrazionali di approcciare al reale risiede probabilmente nella costante urgenza umana di concepire una spiegazione o nel suo impiegare, per muoversi nel quotidiano, anche strumenti che trascendono il pensiero logico. Da questa prospettiva sembra che la nostra ossessione per la tecnologia cammini mano nella mano con una predisposizione alla superstizione. E questa a sua volta emerge con forza di fronte a oggetti ed eventi a noi occulti o, riprendendo quanto visto in relazione allo spiritismo, per far fronte a un ambiente saturo di tecnica in cui ci sentiamo sopraffatti. Il contesto altamente tecnologizzato in cui sguazziamo sicuramente non alleggerisce il peso del nostro bisogno di certezze e organizzazione. Concordano infatti gli autori presi in esame nell’affermare che la logica della tecnologia in cui siamo immersi è invisibile e sembra dotata di poteri non controllabili che trascendono il raziocinio (Davis, 2001, p. 193; Susca, 2022, p. 113).

A questo punto mi torna alla mente il progetto artistico di Timur Si-Qin4. Dal 2016 Timur concepisce New Peace, una peculiare espressione di fede contemporanea che si insedia negli spazi artistici e nel flusso dati utilizzando le potenzialità distributive ed esperienziali di differenti medium. Il suo intento era diffondere globalmente i valori di una nuova forma di spiritualità post-secolare finalmente libera dai dualismi spirito-materia e organico-sintetico. In questo modo il progetto si poneva come un’alternativa ecologista alla distruzione del mondo materiale letta come conseguenza della divisione religiosa tra spirito e materia. Le ricerche di Timur mettono in luce come la fede emerga da processi adattivi prima della speciazione dell’Homo Sapiens per il bisogno di riflettere su eventi naturali inspiegabili (Si-Qin, 2018). Per questa ragione, secondo l’artista il pensiero spirituale risulta accessibile a ognuno e influenza profondamente le azioni (Si-Qin, 2018). Forse lo spirituale, il rituale, il religioso, il magico e l’occulto sono peculiarità umane che sempre emergeranno interfacciandosi con la lucida promessa della scienza e della tecnica.

 

Mi preme a questo punto chiudere con una frase magnifica scovata nella lettura di Max Weber, che a sua volta aveva preso da Lev Tolstoj. Ma qual è il senso della scienza (come professione)? «Essa è priva di senso perché non dà alcuna risposta alla sola domanda importante per noi: che cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo vivere?» (Weber, 2004).

 

 

Note

1 Per approfondimenti si veda Vincent Mosco The Digital Sublime: Myth, Power, and Cyberspace (2004) o un più recente articolo con riferimento all’Intelligenza Artificiale Imagining the thinking machine: Technological myths and the rise of artificial intelligence (2020) di Simone Natale e Andrea Ballatore.

2 Si veda il capitolo Tecnopagani (Davis, 2001, p. 191).

3 Si veda il paragrafo Esperienze spirituali nel cyberspazio del mio articolo Timur Si-Qin. Tra esperienze spirituali in realtà virtuale (Angelucci, 2021, p. 145).

4 Per approfondimento rimando nuovamente al mio articolo Timur Si-Qin. Tra esperienze spirituali in realtà virtuale (Angelucci, 2021).

 

 

Bibliografia

Angelucci, E. (2021), ‘Timur Si-Qin. Tra esperienze spirituali in realtà virtuale’, Piano B. Arti e Culture Visive, 6 (1), pp. 131–154. Doi: https://doi.org/10.6092/issn.2531-9876/14305

Campbell, H. A. (2013) (a cura di), Digital Religion. Understanding Religious Practice in New Media Worlds, Routledge, Londra.

Dos Santos, V. (2020), ‘The Digital and the Spiritual. Validating Religious Experience Through Virtual Reality’, in Biggio, F., Dos Santos, V., Thierry Giuli-ana, G. (a cura di), ‘Meaning-Making in Extended Reality. Senso e Virtualità’, I saggi di Lexia, 40, Aracne, Canterano, pp. 143-164.

Davis, E. (2001), Techgnosis. Miti, magia e misticismo nell’era dell’informazione, Ipermedium libri, Napoli.

Enns, A. (2021), Information Theory of the Soul. Spiritualism, Technology, and Science Fiction, in Natale, S., Pasulka, D.W. (2019) (a cura di), Believing in Bits. Digital Media and the Supernatural, Oxford University Press, New York. [ebook]

Mosco, V. (2004), The Digital Sublime: Myth, Power, and Cyberspace, The MIT Press, Cambridge, London.

Natale, S., Ballatore, A. (2020), ‘Imagining the thinking machine: Technological myths and the rise of artificial intelligence’, Convergence, 26 (1), pp. 3–18. Doi: https://doi.org/10.1177/1354856517715164

Natale, S., Pasulka, D.W. (2019) (a cura di), Believing in Bits. Digital Media and the Supernatural, Oxford University Press, New York. [ebook].

O’Gieblyn, M. (2021), God, Human, Animal, Machine: Technology, Metaphor, and the Search of Meaning, Doubleday, New York.

Si-Qin, T. (2018), A New Protocol, Kaleidoscope, Milano.

Susca, V. (2022), Tecnomagia. Estasi, totem, incantesimi nella cultura digitale, Mimesis, Milano.

Weber, M. (2004), La scienza come professione. La politica come professione, Einaudi, Milano.