Nel nostro presente, humus in cui le nuove tecnologie digitali permettono l’effettiva realizzazione di prodigi dell’immaginario, si osserva un recupero dei temi narrati dalla letteratura fantastica e fantascientifica. Analizzando alcuni paradigmi del mondo contemporaneo, in particolar modo legati allo spazio digitale, si possono infatti individuare diverse analogie con la categoria culturale del fantastico, le sue definizioni e i caratteri che la contraddistinguono.

Da questa prima e ampia constatazione, in questo numero si propone la seconda parte di approfondimento sulle molteplici tematiche legate alla categoria del fantastico e alle loro manifestazioni nella contemporaneità. In particolare, viene approfondito il tema dell’Altro e le sue declinazioni nel presente tecnologico.

 

Tania Cellini, Senza titolo, 2021, acquaforte e acquatinta, 24,5 x 34,5 cm.

 

In Sguardi eccentrici. Il fantastico nelle arti elettroniche (2012) Elena Marcheschi delinea le somiglianze tra il fantastico e il linguaggio audiovisivo, sottolineando come tale medium sia particolarmente in grado di sviscerare le peculiarità del genere. In un capitolo del testo, Marcheschi (2012, p. 78-87) approfondisce poi il tema dell’Altro, suddividendolo in tre distinte categorie: moltiplicazione o sdoppiamento, addizione o potenziamento e sottrazione o depotenziamento.  Riprendendo tale divisione e accostando a ogni categoria alcune opere d’arte, notiamo come le diverse figure dell’Altro provenienti dal mondo della letteratura riemergano in altre forme, attraverso la tecnologia, nel mondo contemporaneo.

 

Altro per moltiplicazione o sdoppiamento

La letteratura fantastica è il terreno privilegiato per analizzare il soggetto altro in relazione alla crisi e alla ridefinizione dell’Io. In Territori della finzione. Il fantastico in letteratura, Rosalba Campra (2000, pp. 22-26) evidenzia infatti come la frammentazione del soggetto, l’annullamento dell’identità, lo sdoppiamento e l’usurpazione dell’Io siano tematiche ricorrenti nei romanzi di genere fantastico. Dal XIX secolo, questo genere inizia a popolarsi di figure altro da sé, riprese poi, ad esempio, in molte pellicole cinematografiche1. Il valore di tali raffigurazioni divenne oggetto di studi psicoanalitici, dai quali emerse il collegamento Altro/psiche, identificando la creatura fantastica come l’incarnazione di una parte di noi2, ad esempio di un contenuto rimosso.

Il Doppelgänger  – il doppio o il sosia  –  è divenuta una figura narrativa ben delineata e riconoscibile grazie ai molti personaggi che hanno abitato nel tempo la letteratura fantastica. Nel contemporaneo, il termine viene ripreso dal neologismo virtual doppelgänger, solitamente impiegato per riferirsi al nostro alter ego digitale. Ponendo un parallelismo, oggi il nostro Mr.Hyde è sostituito dalle identità virtuali; la categoria dell’Altro come doppio trova infatti una perfetta corrispondenza con qualsiasi forma di rappresentazione digitale di noi stessi oltre la realtà e il corpo fisico.

 

Tania Cellini, Senza titolo, 2021, xilografia, 25 x 17,5 cm.

 

Nel delineare alcune similitudini tra l’Altro in letteratura e l’Altro digitale, si potrebbe innanzitutto affermare che sia le creature dei mondi letterari fantastici sia quelle abitanti il mondo virtuale vivono in dimensioni diverse dalla nostra realtà materiale. Inoltre, entrambi presentano una forte identificazione con il personaggio. Se gran parte della narrativa fantastica si svolge in prima persona per favorire l’immedesimazione del lettore con il protagonista, allo stesso modo la relazione con l’avatar implica l’adozione dello stesso punto di vista: non siamo spettatori passivi, noi animiamo questi shells digitali. Contrariamente, però, nella letteratura fantastica l’incontro con l’Altro si caratterizza spesso come un episodio perturbante e inspiegabile. Il nostro rapporto con lAltro digitale invece è ormai un evento ordinario: l’avatar è il personaggio scelto – il nostro alter ego – per rappresentare e incarnare3 noi stessi all’interno dei mondi virtuali che visitiamo quotidianamente  (Turkay, Kinzer, 2016). Il costante utilizzo e il rapporto che instauriamo con il nostro avatar manifestano e confermano un processo di ridefinizione della nostra identità, che diviene sempre più estesa e frammentata. Sia dentro sia fuori il virtuale, la rappresentazione di noi stessi non è univoca ma moltiplicata. Come afferma Sherry Turkle: «L’auto-rappresentazione o rappresentazione virtuale diventa principalmente la descrizione del sé. Il concetto di corpo è esteso, talvolta quasi azzerato. Le persone si trasformano in account o utenti, e questa nuova condizione permette loro di diventare ciò che vogliono» (Turkay, Kinzer, 2016). La nostra autorappresentazione virtuale si estende oltre il corpo fisico. Il nostro autoritratto digitale coincide con le tracce che lasciamo (like, commenti, contenuti condivisi) e, in questo modo, la nostra identità si espande in un sistema esterno che allo stesso tempo la ridefinisce.

Molti artisti contemporanei hanno intuito la rilevanza espressiva degli avatar. Attualmente si possono infatti incontrare numerosi esempi di ricerche e pratiche artistiche che lavorano con tali creature digitali. In Reenactment (2007-2010), Eva e Franco Mattes utilizzarono avatar su Second Life per rimettere in scena una serie di performance storiche. Cao Fei naviga nel mondo di Second Life con il suo alter ego digitale China Tracy. Cecil B. Evans, in opere come Hyperlinks or It Didn’t Happen (2014) e How happy a Thing can be (2014), e Kate Cooper con Rigged (2014) si occupano della sfera emotiva legata ai corpi digitali. Jordan Wolfson in Real Violence (2017) affronta il tema dell’assuefazione alla violenza nei contenuti mediatici, mostrandoci una scena in realtà virtuale in cui il suo avatar massacra un altro avatar. In questo modo, l’artista intende suscitare una riflessione sull’empatia che potremmo provare verso un corpo digitale. Tra le varie mostre che si sono concentrate sull’impiego in campo artistico degli avatar si ricorda Audience & Avatar tenutasi nel 2008 presso l’USF Contemporary Art Museum (USFCAM).

Una delle opere più significative di tale ambito di ricerca artistica fu realizzata da Philippe Parreno e Pierre Huyghe nel 1999. I due artisti acquistarono dalla Kworks, agenzia giapponese produttrice di personaggi per l’industria dei Manga, i diritti di Annlee e la figura divenne la protagonista dell’opera No Ghost Just a Shell. Da un semplice personaggio disegnato, i due artisti realizzarono quindi un lavoro unico nel suo genere sull’identità degli avatar: «un complesso enigma semiotico, legale, esistenziale, morale e culturale» o, come descritto dallo stesso Huyghe, un lavoro su «un personaggio che parla della sua condizione di essere un personaggio» (Tanner, 2002). Il progetto si sviluppò dal 1999 al 2003 e vi parteciparono diversi artisti di fama internazionale che, di volta in volta, interpretarono e incarnarono Annlee. Ogni opera realizzata dai vari partecipanti andava a comporre un capitolo narrativo dell’evoluzione del personaggio. Annlee venne così declinata in opere fisiche e multimediali: scultura, video, installazione neon, cortometraggio animato, poster e wallpaper, sino a essere incarnata da una persona reale4. Il personaggio morì nel momento in cui Philippe Parreno e Pierre Huyghe lo resero una persona giuridica affidandogli i suoi stessi diritti d’autore. In questo modo, di fatto liberarono «un personaggio fittizio dal mondo della rappresentazione» (Tanner, 2002). Il significato di No Ghost Just a Shell e le riflessioni che ne derivano trascendono l’ambito della relazione tra avatar e individuo – tra Io e Altro – e si ampliano, grazie anche alle molteplici collaborazioni con gli artisti, a «nozioni di paternità, autenticità, finzione e realtà e del ruolo dell’artista» (Tanner, 2002).

 

Tania Cellini, Miniature, 2020-2021, acquaforte su zinco, 7,5 x 5 cm.

 

Attualmente, nuove tecnologie come la computer graphic, le scansioni 3D e la motion capture permettono un fotorealismo delle creature digitali sempre maggiore. Si vedano ad esempio gli enormi progressi compiuti dalla computer grafica nel mondo dei videogiochi o in altri fenomeni emergenti come le influencer digitali in CGI che abitano i Social Media5. Le tecnologie di auto-scansione inoltre sono già alla portata di un pubblico di massa. Dai nostri smartphone è possibile creare avatar partendo dalla nostra immagine con lo stesso meccanismo di scansione facciale su cui si basano i filtri facciali di Instagram. Impiegando la realtà aumentata, questi ultimi permettono di interagire con elementi digitali e quindi di “avatarizzarci” ibridando la nostra immagine6.

L’umano presta il suo corpo come “positivo” di un processo di scansione, che poi mette in vendita, usa in videogame, in filmanti, in file per la stampa tridimensionale. I motivi sono disparati, dall’arte, all’attività ludica, alla medicina ecc. Lo stesso avviene con le nostre espressioni corporee, e la possibilità di registrarle con tecnologie apposite, come gli strumenti di motion capture: catturiamo e pubblichiamo database con le nostre movenze, i nostri gesti; concepiamo la nostra persona come serie di dati tracciabili, come corpo rappresentato da un avatar, come serie di coordinate, come oggetto da mettere in vendita digitalmente, come immagine soggetta a deformazioni digitali. (Kard, 2022, pp. 6-7)

Nell’opera di Maija Tammi One of Them is a Human (2007), lo spettatore doveva riconoscere i volti umani tra alcuni ritratti fotografici in cui si nascondevano anche i robot umanoidi di Hiroshi Ishiguro7. Alla Biennale di Venezia del 2021, le opere Missing Child, Cyborg e Missing Person, Cyborg (2021) di Lynn Hershman Leeson mostravano alcuni volti in apparenza umani ma in realtà generati da un IA tramite il sito Face Generator8. In Be Arielle F (2020), una performance tra teatro e New Media Art, il giovane artista svizzero Simon Senn aveva incarnato il corpo digitale di una donna reale, utilizzandolo come oggetto teatrale. Tale corpo digitale era una scansione 3D di una giovane donna messa in vendita dalla stessa sul sito 3dscanstore.com e acquistata dall’artista. Durante la performance, attraverso un sistema di motion capture, VR e sensori, i movimenti di Senn venivano riprodotti in tempo reale dal corpo digitale della donna. Al suo termine, Senn interagì con la donna in videochiamata, facendo quindi coesistere nello stesso momento e luogo la persona reale, il suo clone e colui che lo stava incarnando. Una simile operazione venne fatta da Lu Yang in Delusional World (2020). Durante una live-stream performance, un ballerino animava diverse creature digitali fantastiche in un mondo surreale, un dreamscape bizzarro e allucinogeno dove si fondevano mitologia, religioni, sottoculture, fantascienza, cyborg e manga. Infine, Robbie Cooper in Alter ego (2003-2006) realizzò una raccolta fotografica di persone accostate ai loro avatar. Per realizzare il progetto, l’artista inglese viaggiò per tutto il mondo in maniera tale da fornire un quadro molto ampio del fenomeno. La raccolta venne poi pubblicata sotto forma di un libro dal titolo Alter ego. Avatars and their creators (2007).

 

Tania Cellini, Senza titolo (Schema 91), 2021, puntasecca su zinco, pastello, fondini, 50 x 35 cm.

 

Altro per addizione o potenziamento

Nella categoria Altro per addizione o potenziamento si collocano invece le ibridazioni dell’uomo. Il progresso scientifico e tecnologico ha progressivamente portato alla realizzazione di prodigi a lungo ipotizzati soprattutto dalla letteratura fantascientifica. Nella contemporaneità la «coerenza e compattezza identitaria lasciano campo libero al concetto di trasformazione del corpo umano che diventa così polimorfo, espanso ed espandibile in configurazioni imprevedibili» (Marcheschi, 2012, p. 82). Si osserva una definizione sfumata di corpo e nasce una nuova visione di un corpo postumano o transumano, potenziato, ibridato e mutato. Come delineato da Eugenio Viola nel suo saggio Post Human (2010), il processo di ridefinizione dell’umano impone anche un ripensamento degli aspetti epistemologici e ontologici che avevano guidato il pensiero della modernità:

All’alba del XXI secolo le sempre più sofisticate tecnologie di controllo e manipolazione del vivente (biotecnologia, ingegneria genetica) unite a quelle di elaborazione e trasmissione di informazione digitale (realtà virtuale, intelligenza artificiale), impongono un riadattamento di alcune dicotomie fondanti il pensiero moderno: mente/corpo, animale/umano, pubblico/privato, reale/virtuale, vero/falso, naturale/artificiale, maschile/femminile, organico/inorganico. Il rinnovato interesse per l’umano si intreccia con l’emergenza di nuove prospettive epistemiche che ne mettono in discussione la presunta intangibilità invalidando le tradizionali distinzioni ontologiche e metafisiche tra referenze umane e alterità non-umane, siano esse di natura biologica o macchinica. (Viola, 2010, p. 9)

Le storie sull’ibridazione dell’umano con il non-umano sono presenti sin dall’antichità. I primi esempi sul tema dell’uomo artificiale risalgono infatti  alla letteratura del XV-XVI secolo, ma in particolare nel secolo scorso, nella letteratura fantascientifica americana degli anni venti, si osserva l’emergere di una figura chiave dell’immaginario collettivo: il cyborg9.

Parlare di cyborg oggi non sconvolge più. L’ibridazione con la macchina e l’intervento sul corpo sono stati ampiamente sperimentati in campo artistico soprattutto negli anni novanta. Il caso forse più eclatante e rappresentativo di tale categoria rimane il lavoro dell’artista australiano Stelarc. Pioniere della body art estrema, negli anni di attività ha realizzato performance con sistemi robotici e interattivi, indagando i limiti fisiologici e psichici e gli strumenti di potenziamento. L’obiettivo della sua pratica era ridefinire il corpo, da lui percepito come ormai obsoleto: la tecnologia era dunque intesa come un requisito indispensabile per la nascita di un nuovo umano. Attraverso le sue opere, che fondono performance e sperimentazione tecnologica, Stelarc superava i limiti del corpo impiegando protesi robotiche, realtà virtuale, intelligenza artificiale e biotecnologie. Alcuni suoi lavori rimasti nella storia sono The Stomach Sculpture (1993), in cui si impianta una capsula nello stomaco; Blender (2005), opera in collaborazione con l’artista Nina Sellars, in cui si erano sottoposti a un intervento di liposuzione per dare vita a una struttura tecnologica antropomorfa che regolarmente mischiava le loro sostanze biologiche con altri componenti. Si ricorda, inoltre, Exoskeleton (1999) dove lo stesso artista controlla un sistema robotico a sei gambe attraverso i movimenti delle braccia. Una delle azioni più estreme di Stelarc rimane The ear on arm (2006), nella quale si fece installare la protesi di un orecchio dotato di bluetooth sul braccio.

 

Tania Cellini, Remedios, 2021, acquaforte, acquatinta e puntasecca su zinco, 11,5 x 6,5 cm.

 

Altro per sottrazione o depotenziamento

In quest’ultima categoria Elena Marcheschi (2012) colloca i personaggi più sconvolgenti, come mostri e fantasmi. In questo caso risulta più complesso individuare analogie con le creature digitali, poiché la categoria potrebbe includerle o escluderle tutte. Robot, animatronic e avatar possono essere figure da un lato uguali all’uomo in termini di apparenza, dall’altro totalmente surreali e mostruose, cioè lontane dalla natura umana.

Nel creare un parallelismo tra questo gruppo e le creature che abitano il mondo digitale, forse i morti possono essere identificati come una raffigurazione legata a entrambi. Il tema della morte è un argomento al centro di numerosissime opere di letteratura fantastica. Ma nel contemporaneo sembra essersi aperta la possibilità di eluderla: l’immortalità digitale è una dei fenomeni emersi dalla digitalizzazione dell’identità. Rassicurante e inquietante allo stesso tempo, questo tema ci pone per la prima volta una prospettiva di non mortalità oltre l’organico. Tutti i dati che produciamo e accumuliamo quotidianamente (contenuti, messaggi, immagini, video, ecc.), e che costituiscono la nostra memoria, possono essere trasferiti su sistemi esterni digitali o robotici. Un argomento delicato e diffuso anche nella cultura mainstream grazie all’episodio Be Right Back della fortunata serie inglese Black Mirror, in cui la protagonista ricrea un surrogato del suo compagno morto in un incidente. Al di là delle declinazioni più fantascientifiche, le azioni che svolgiamo quotidianamente online creano un’enorme mole di dati personali che compongono effettivamente la nostra eredità digitale. Si tratta di un corrispettivo virtuale della nostra identità, ricostruibile tramite l’elaborazione di quello che abbiamo vissuto in rete e di proprietà delle aziende detentrici delle varie piattaforme digitali.

Uno dei maggiori esperti a livello internazionale della digital death è il tanatologo Davide Sisto, autore di La morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale (2018). Nel testo, Sisto parla delle possibilità e delle criticità che derivano dalla conservazione di tutte le nostre informazioni – i nostri ricordi – nel web. Secondo il filosofo, «digitalmente siamo già [immortali]: è quasi impossibile cancellare tutte le tracce lasciate online. Questo apre una serie di problematiche quando siamo in vita» (Italiano, 2018). Un aspetto positivo, spiega Sisto, potrebbe risiedere nell’opportunità di creare forme di lutto collettivo che permettano di elaborarlo anche fuori dalla dimensione individuale. D’altra parte però si rischierebbe che la conservazione delle informazioni diventi un mezzo per illudersi di aver sconfitto la morte, soprattutto nel caso in cui si decidesse di avere un rapporto diretto con una IA o un bot che simula la persona deceduta (Italiano, 2018). Facebook ha ormai un cimitero digitale che conta milioni di account di persone defunte e, secondo uno studio dell’Università di Oxford, potrebbe arrivare a circa 4,9 miliardi di persone nel 2100 (Cantor, 2019).

Molte aziende stanno già pensando di trarre profitto dagli aspetti legati al concetto di immortalità digitale. Hossein Rahnama ha fondato Augmented Eternity, una piattaforma che si occupa di reperire tutti i dati di una persona dai social network e dai messaggi, al fine di ricostruire una figurazione digitale fedele all’originale (Humphries, 2018). Eternime, invece, è una startup che raccoglie tutte le informazioni personali del cliente e le inserisce in un somigliante avatar digitale, in grado quindi di vivere anche dopo la morte del suo doppio fisico. eLegacy si occupa di gestire un inventario di beni digitali, definendo quali informazioni potranno essere mostrate, quali andranno in eredità e quali dovranno rimanere segrete. Tra i lavori del futuro potrebbe riscontrare successo quello del Digital Death Manager, ovvero colui che gestirà le nostre eredità digitali per dare vita a un clone.

Guardando al mondo dell’arte contemporanea, non vi sono ancora molte opere che affrontano la tematica dell’immortalità digitale. Nel fornire alcuni esempi si incontra Lu Yang, la cui pratica artistica si concentra sulla realizzazione di complessi filmati digitali. In Delusional Mandala (2015), l’artista mostra il suo avatar torturato e stimolato a livello neuronale per provare ogni tipo di emozione, fino a morire dissolvendosi in fumo nero. In quest’opera la morte della CGI non ha nessuna conseguenza e la narrazione continua il suo svolgimento. Il minimo impatto della morte del personaggio sulla storia narrata diventa pretesto per riflettere sull’immortalità tecnologica e «offre una riflessione sulla nostra (in)capacità di affrontare la mortalità» (Rafferty, 2019). Influenzata dalla filosofia buddhista, Yang mostra un’idea di morte come momento di passaggio e non di fine. Nell’opera viene affrontata la sua immortalità digitale, creando varie rappresentazioni alternative che possano continuare a vivere nel mondo virtuale dopo la sua morte fisica. A sopravvivere non saranno solo le immagini, ma veri e propri “contenitori” della sua coscienza.

 

Tania Cellini, L’uomo dall’uovo, 2022, maniera nera su rame, 10 x 15 cm.

 

Come si è visto, l’attuale ritorno del fantastico e dei personaggi che vi dimorano avviene soprattutto nel mondo digitale, il quale ne facilita la rappresentazione grazie alle sue illimitate possibilità creative. Favorendo l’illusione e la finzione, il digitale innesca la crisi delle certezze su cui si basava fino a ora la nostra percezione del reale, e contemporaneamente ha la capacità di creare nuove possibilità. Tra il fantastico e i fenomeni del mondo digitale troviamo molti dei caratteri narrati nella letteratura fantastica: le ibridazioni mitologiche dell’uomo nell’antichità ricordano oggi le teorie sul postumano e il transumano, il ritorno dei morti del romanzo gotico non sembra più assurdo se pensiamo agli avatar di persone decedute o le storie sui portali spazio-dimensionali fantasy o sci-fi possono ormai percepirsi indossando visori e immergendosi nel virtuale. Tali fenomeni, ormai parte della vita di tutti i giorni, suggeriscono quindi non solo un recupero dell’immaginazione da parte del mondo digitale, ma soprattutto la sua effettiva attuazione. E allora la favola compie finalmente la sua vendetta e riemerge, espandendosi, in un nuovo reale fantastico.

 

 

Note

1Si ricordano Vertigo. La donna che visse due volte  (1958) di A. Hitchcock, Solaris (1972) di A. Tarkovskji, Videodrome (1983) e Inseparabili (1988) di D. Cronenberg, Twin Peaks Fuoco cammina con me (1992), Mulholland Dr. (2001) e Strade perdute (1997) di Lynch, Doppelgänger (1993) di Avi Nesher ed Essere John Malkovich (1999) di S.Jonze.

2Si pensi al caso di Nathaniel, il protagonista di Der Sandmann di E.T.A. Hoffmann analizzato da Freud nel saggio Il perturbante.

3La parola avatar proviene dal sanscrito e significa letteralmente incarnazione.

4Tino Sehgal, artista noto per le sue performance immateriali di cui non lascia tracce fotografiche o video, fece interpretare il ruolo di Annlee all’attrice Nikita Broadbent.

5Si veda Miquela Sousa su Instagram.

6Nel 2021, Artribune realizza per il suo anniversario la mostra Art Layers curata da Valentina Tanni. Art Layers era composta da dieci filtri Instagram realizzati da vari artisti contemporanei.

7Professore nel Dipartimento di Intelligenza Artificiale e Macchine Adattive dell’Università di Osaka, Ishiguro è noto per aver realizzato un robot geminoid: un vero e proprio doppelgänger di se stesso.

8Sul sito web si trova la sezione Random Face Generator in cui, dopo aver impostato dei parametri preferenziali, è possibile visualizzare l’immagine di un volto generato indistinguibile da una persona reale.

9Per approfondimenti si veda Antonio Caronia (2008) Il cyborg. Saggio sull’uomo artificiale.

 

 

Bibliografia

Campra, R. (2000),  Territori della finzione. Il fantastico in letteratura, Carocci, Roma.

Cantor, M. (2019), ‘Facebook could have 4.9bn dead users by 2100, study finds’, The Guardian. Disponibile su: https://www.theguardian.com/technology/2019/apr/29/facebook-dead-users-2100-oxford. (Ultimo accesso: 25 gennaio 2023). 

Caronia, A. (2008), Il cyborg. Saggio sull’uomo artificiale, Shake, Milano.

Cooper, R. (2007), Alter ego. Avatars and their creators, Chirs Boot.

Humphries, C. (2018), ‘Digital Immortality: How your life’s data means a version of you could live forever’, The MIT Technology Review. Disponibile su: https://www.technologyreview.com/2018/10/18/139457/digital-version-after-death/. (Ultimo accesso: 25 gennaio 2023).

Italiano, P. (2018), ‘Bisogna imparare a gestire l’immortalità digitale’, La Stampa. Disponibile su: https://www.lastampa.it/torino/appuntamenti/2018/09/30/news/bisogna-imparare-a-gestire-l-immortalita-digitale-1.34048957/. (Ultimo accesso: 15 gennaio 2023).

Kard, K. (2022), Arte e social media. Generatori di sentimenti, Postmedia, Milano.

Marcheschi, E. (2012), Sguardi eccentrici. Il fantastico nelle arti elettroniche, Edizioni ETS, Pisa.

Rafferty, P. (2019), ‘Mortality in the digital age: the many deaths of Lu Yang’, Art Basel. Disponibile su: https://www.artbasel.com/news/lu-yang-death-and-the-digital-art-basel-hong-kong-2019. (Ultimo accesso: 25 gennaio 2023).

Sisto, D. (2018), La morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale, Bollati Boringhieri, Torino.

Tanner, M. (2002), ‘No Ghost Just a Shell’, Stretcher. Disponibile su: https://www.stretcher.org/features/no_ghost_just_a_shell/ (Ultimo accesso: 24 gennaio 2023).

Turkay, S., Kinzer, C. (2016), ‘The effects of Avatar-Based Customization on Player Identification’,  International Journal of Gaming and Computer-Mediated Simulations, 6, pp.1-25. Doi: 10.4018/ijgcms.2014010101.

Viola, E. (2010), Post Human. Esperienze e questioni di critica d’arte, Tesi di dottorato, Università degli studi di Salerno.

 

 

Tania Cellini

Tania Cellini nasce a Frosinone nel 1996 e attualmente vive e lavora a Torino. La sua formazione inizia presso l’Accademia Costume e Moda di Roma. Nel 2019 la sua collezione Coconut viene presentata ad Altaroma e alla Graduate Fashion Week di Londra. Prosegue gli studi con un biennio specialistico in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, dove si laurea nel 2022 con la tesi Fantarealtà. Il ritorno del fantastico nel mondo contemporaneo con il prof. Fabio Cavallucci. Contemporaneamente ottiene il diploma di specializzazione in grafica d’arte presso la Fondazione il Bisonte di Firenze. Durante gli studi ha partecipato a residenze artistiche (Urban Nation Museum di Berlino nel 2019 e Magazzeno Art Gallery a Filetto (RA) nel 2020), mostre personali e collettive.