*Questo articolo è un estratto da Indistinzione. Tre movimenti dell’arte sulla guerra (2023) di Vincenzo Estremo, edito da Politi Seganfreddo Edizioni. Ringraziamo l’autore e l’editore per la concessione.

 

Nel 2012 si è conclusa con successo Disarm the Gallery, la campagna portata avanti da un gruppo di attivisti londinesi che chiedevano alla National Gallery of Art di Londra di interrompere qualsiasi rapporto di sponsorizzazione con l’azienda italiana Finmeccanica (Leonardo S.p.A.). Le proteste erano nate contestualmente alla decisione del museo britannico di accettare il contributo di sponsorizzazione di Finmeccanica, che in qualità di corporate benefactor poteva utilizzare gli spazi della National Gallery per incontri con compratori e dealer internazionali di armi. Come nel caso del ricevimento ufficiale della Defence & Security Equipment International (DSEI) nel settembre del 2011, in cui rappresentanti di dieci regimi repressivi, tra cui Bahrain, Egitto e Arabia Saudita, erano stati invitati per comprare armi, ricevuti all’ombra della colonna dell’ammiraglio Nelson. Eppure, la vicenda della cena del DSEI organizzata da quella che a breve sarebbe diventata Leonardo S.p.A. non è il culmine dell’aberrazione delle relazioni tra istituzioni culturali e industria degli armamenti.

Insomma, se la distopia di Cuarón – che ne I figli degli uomini (2006) mostra una Guernica (1937) usata come sfondo per riunioni private – ha trovato un parallelismo storico con i brindisi per l’acquisto di Eurofighter Typhoon sotto lo sguardo mencio dei Coniugi Arnolfini (1434) di Jan van Eyck, a distanza di qualche anno è l’intera industria bellica (compresa Leonardo S.p.A.) a trasformare radicalmente i suoi rapporti con l’universo della cultura. La vicenda in realtà è molto più intricata di una semplice sponsorizzazione, si tratta invece di una trasformazione globale, che in qualche modo rientra nel complesso delle pratiche di adeguamento tecnologico messe in programma dalla NATO per i prossimi anni. Per intenderci, siamo di nuovo alla storia dei pesci rapidi che insieme possono far fuori il pesce grosso, e che a quanto pare sembra coinvolgere, tra le tante istituzioni (o pesci), anche quelle culturali.

Lo sforzo nel cambio di strategie industriali della NATO, annunciato come improrogabile per mantenere la predominanza tecnologica sui propri avversari, si sta concretizzando nel programma DIANA (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic)1, il cui acronimo non rimanda a caso alla dea romana della caccia. Il programma è un ecosistema che intende essere del tutto innovativo, fatto di aziende e attori istituzionali incentivati a stabilire collaborazioni tra loro per sviluppare progetti connessi alle Emerging and Disrupting Technologies (EDTs). In pratica, l’obiettivo è quello di lavorare allo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale (AI) impiegabili in ambito militare, quantum computing, cybersecurity, aerospazio, ottimizzazione e sfruttamento dei big data, nonché di investire competenze digitali su sistemi di armi autonome, ipersoniche e nel famigerato settore del Robot Killing. E soprattutto di fare tutto questo mescolando le carte in tavola, ovvero imitando i metodi di finanziamento e ricerca delle start-up della Bay Area, ma anche autofinanziandosi, convertendo i brevetti ottenuti con la ricerca bellica in ambito civile e viceversa. Il programma beneficia al momento di un miliardo di dollari di finanziamento raccolti in un fondo di venture capital sovrano multinazionale, attraverso cui la NATO finanzierà le economie di startup di diverse aziende per progetti selezionati in 9 settori strategici2.

Nel presentare il programma, i vertici della NATO, con il segretario Jens Stoltenberg e il vicesegretario Mircea Geoană in testa, hanno sottolineano che DIANA intende snellire e innovare i modi di fare business dell’Alleanza Atlantica, investendo quote di minoranza nelle migliori aziende d’innovazione digitale. La velocità e la flessibilità sono una parte fondante del manifesto ideologico di questo progetto. Formalmente DIANA è pensato per abbattere ulteriormente ciò che resta del muro che separa l’ambito civile da quello militare, con l’obiettivo di lavorare con il settore privato, che nella super-estensione delle nuove forze di produzione digitale3 è già in grado di produrre la tecnologia che serve anche al settore della difesa. In questo processo di indistinzione, sembra infatti che le cose si siano rovesciate definitivamente, e se una volta le tecnologie militari arrivavano ad avere usi civili, oggi l’orizzontalità tecnologica fa sì che siano i militari ad attingere dai civili. Insomma, se state pensando a uomini e donne in uniforme che testano armi potentissime in poligoni spersi tra le montagne, avete beccato solo la metà di quello che accadrà con DIANA.

Il programma ha dei test center (in Italia uno a Capua e uno a La Spezia) in cui molto probabilmente verranno sperimentate armi autonome, ma anche degli acceleratori second-stage in cui un ristretto numero di aziende, sotto la tutela di un selezionato gruppo di business angel, verranno messe in condizione di immaginare soluzioni per le guerre del futuro4.

In gergo digitale e nell’ambito delle nuove fabbriche di start-up, un acceleratore è un programma che mira a sostenere e “accelerare” lo sviluppo di una nuova impresa. Queste fabbriche post-postindustriali sono quindi strutturate intorno a dei servizi pensati per supportare le start-up in varie attività imprenditoriali, fornendo (invece di produrre) beni e servizi in cambio di una percentuale su quelli che saranno i profitti finali. Un modello di produzione su cui è stata pensata e modellata anche la rete di acceleratori di DIANA.

In Italia a occuparsi dell’attività dell’acceleratore ci sarà il programma Take Off, una creatura di cdp Venture Capital Sgr (cassa depositi e prestiti) che mediante i suoi diversi fondi ha permesso la nascita di una rete nazionale di acceleratori. La particolarità dell’ecosistema onnivoro dei fondi nazionali per l’innovazione di cdp è che finanziano attività legate al digitale, in cui convivono indistintamente e senza confliggere progetti di istruzione, arte-cultura e ricerca scientifica. Progetti che al momento possono immaginarsi strategicamente attivi sia in piani di riforestazione che di scolarizzazione digitale, oppure, perché no, in accelleratori come Take Off, che si occuperà di DIANA. Una convergenza che in alcuni casi diventa eccezionale, come quando queste nuove attività produttive trovano casa nelle vecchie fabbriche rimesse a lucido per essere trasformate in musei, spazi espositivi o centri dell’innovazione. Per intenderci, l’Innovation e Networking Partner di Take Off è l’ex spazio industriale di OGR (Officine Grandi Riparazioni), che in un’assurda contorsione della storia – o meglio in una sovrapposizione archeologica – mette a disposizione la sua fabbrica postpostindustriale per la nuova fabbrica di DIANA.

Il sito ex industriale di OGR, ricavato dalla rimessa in opera delle Officine Grandi Riparazioni, è in sé una etnostratigrafia delle attività produttive della modernità industriale e post-industriale. Nato come officina ferroviaria nel 1895, anno in cui i fratelli Lumiere mostrarono al mondo il loro cinematografo, è stato per anni un eccellente polo industriale per poi diventare, come capita spesso, un centro culturale e di sperimentazione tecnologica. A dirla tutta l’acceleratore sarà ospitato solo temporaneamente negli spazi di OGR, infatti, la destinazione finale di DIANA sarà un’altra area industriale dismessa della città di Torino, dove sta nascendo la cittadella dell’Aerospazio di Leonardo S.p.A., a sua volta uno dei partner principali del programma NATO e corporate partner di Take Off5.

Insomma, sembra che prima ancora di iniziare le sue attività, DIANA possa già contare su di una rete di supporto fatta di partner che sono già partner tra loro. Nel frattempo, la fabbrica post-postindustriale di OGR farà da ponte permettendo al programma DIANA di accasarsi da Leonardo S.p.A., nella cui sede ci sarà comunque un centro museale, uno Space Center in cui programmare e simulare future missioni di colonizzazione spaziale. D’altronde il legame tra Leonardo S.p.A. e l’hub tecnologico di OGR è già abbastanza solido; l’azienda partecipata, infatti, alimenta già da qualche anno gli spazi dell’ecosistema di startup hi-tech e innovazione digitale con il suo Open Innovation Leonardo Lab, progetto in cui confluiscono le idee di ricercatrici e ricercatori di oltre novanta tra atenei e centri di ricerca. Quindi, in attesa che Leonardo S.p.A. completi il progetto della cittadella prevista per il 2025, OGR potrà trovare rimedio al testo del codice etico in cui si dichiara integra e imparziale nel «ripudio della guerra e sulla tutela dei diritti civili e politici»6. Oppure potrà non farlo, e si continuerà con le mostre, l’innovazione, la fila al bancone per i drink, la coda al bagno, i nanorobot. In questo tempo iniziale le start-up potranno lavorare alle famigerate nuove soluzioni tecnologiche dirompenti, beneficiando dei servizi dell’hub di innovazione nel settore Tech e godendo allo stesso tempo dell’atmosfera dell’area Cult. Al momento non sembra esserci nessun comitato di protesta; artisti, artiste e operatori dell’arte sembrano non essersi accorti del programma DIANA. La notizia è comparsa su alcuni quotidiani italiani e stranieri, ma oltre ai gruppi anarchici torinesi che ne hanno denunciano il rischio, gli altri soggetti sembrano confermare la potenza invisibile di questa nuova forza produttiva. A dire il vero le istituzioni politiche sembrano anche promuovere la cosa, come nel caso dell’exmilitante di Lotta Continua – oggi consigliere comunale – che ha pubblicamente appoggiato la candidatura di Torino in DIANA con una mozione pubblica7.

In realtà, la questione del perché tutto ciò stia per avere inizio all’interno di un’istituzione a vocazione culturale apre l’ennesimo varco verso una società dell’indistinguibilità. Non è infatti vero che DIANA svilupperà tecnologie potenzialmente devastanti, o meglio non è esclusivamente vero che i progetti incubati dall’acceleratore NATO avranno solo vocazione bellica. Tutto è reversibile, o meglio invertibile, come il credo politico in una società in cui l’approccio efficientista e il peso economico sono di gran lunga più influenti di qualsiasi altro, o come i principi etici con cui gli spazi della cultura regolamentano il proprio operato. Per intenderci, nel caso di DIANA, una volta accettata la candidatura di Torino come sede di uno degli acceleratori, era quasi logico ipotizzare il coinvolgimento di OGR. Non sto contraddicendo quanto ho appena detto in precedenza, ma sto provando a risalire alle ragioni della scelta. Infatti, la società consortile, così come è stata pensata dal riassetto delle Grandi Officine, produce di per sé un aggiornamento di fatto delle funzioni del museo o delle istituzioni culturali, portando questi vecchi enti – residuati dell’età moderna – verso la contemporaneità post-digitale. Il motore del sostentamento e dello sviluppo sembra infatti essere la piattaforma tecnologica, la parte grazie alla quale è possibile attirare investitori e con cui è possibile giustificare o redimere la presenza della parte culturale e artistica.

Magari l’arte potrà continuare a esistere, forse si dichiarerà indipendente mantenendo la libertà di parola ed espressione, ma sarà viva solo grazie alla controparte produttiva. Una controparte in cui sempre più spesso la natura duale del digitale rende possibili applicazioni svariate e potenzialmente infinite. Queste tecnologie iper-efficienti troveranno applicazione sia in campo civile sia in quello militare, salteranno da un ambito all’altro come avviene nei processi di spillover virali8, oppure condivideranno conoscenze comuni per perseguire obiettivi diversi. La dualità tra sfera civile e sfera militare evoca i meccanismi relativi al riavvicinamento di questi due campi apparentemente così distanti, allineamento che Farocki aveva intuito essere il fulcro delle “immagini operative” in War at Distance (2003), in cui i sistemi di visione erano indistintamente funzionali alla produzione industriale e alle campagne militari. In definitiva, questi modelli saranno la base delle nuove fabbriche duali, in cui uomini e donne saranno produttivi nell’arte dell’indistinguibile. A ricoprire la funzione generica in un processo ottimizzato ci saranno sia le immagini che gli esseri umani. Nessuna delle due entità sarà distinguibile dalla rete di controllo in cui è inserita, perché l’infrastruttura su cui “girano” è la stessa, ovvero quella rete digitale che nel rendere ogni cosa mutabile, reversibile e indefinibile, oscura le peculiarità rendendo impossibile il riconoscimento. Ecco quindi che la dualità della tecnologia passa per osmosi alle istituzioni politiche, sociali e culturali.

Quello del progetto DIANA sembra insomma essere un esperimento di sintesi, in cui la tecnologia sviluppa risorse anche per l’arte e in cui quelle stesse risorse possono essere indistinguibilmente di pace e di guerra. Il tempo in cui i militari si riconoscevano dalle divise e dalle mostrine sembra essere definitivamente svanito. Il primo dei risultati di questi centri dell’innovazione non è tecnologico, ma di costume: finalmente i vertici dell’Alleanza Atlantica avranno delle mimetiche tali da confondersi senza problemi tra la gente, niente più macchie marroni e verdi, né MARPAT digitale, né aerei con la livrea pixelata. Nel mondo dell’indistinzione bellica la mimetica non servirà, sarà piuttosto un pattern come qualsiasi altro, qualcosa che si trova indiscriminatamente alle sfilate e sui treni regionali che collegano le zone svantaggiate del paese9. La indosseranno emaciati ragazzi con la testa vuotata dalla SPICE, o figli della piccola borghesia con l’auto in leasing. Le nuove città dell’indistinguibile somiglieranno più a San Francisco che alle ZATO sovietiche10. Saranno percorse da vecchi-giovani e ricchi futuristi, ingegneri e creativi, informatici e artisti, dai fantasmi dei render che nel frattempo avranno trovato la strada per la transustanziazione. Tutti rideranno per strada conversando spensierati con altri fantasmi e bevendo caffè. Saremo ossessionati dal caffè, come dice Débora Delmar; mentre questa nuova industria avanza, gli Starbucks e i McCafè aumenteranno, sorgeranno aree di svago tutte uguali tra loro, copiate dal reticolo urbano di Williamsburg e incollate un po’ ovunque. Negozi di caramelle, lollipop e palestre, ristoranti di Cheerios aperti h24, parrucchieri, nutrizionisti, articoli secondhand al kg, store Nike, Adidas e Under Armour. I nuovi abitanti di queste aree produttive e di sviluppo saranno in tutto e per tutto esseri digitali, lo si intuirà subito, non sarà più necessario allargare l’immagine per vederne la grana come faceva James Bridle qualche anno fa11, perché la loro natura sarà manifesta, universale.

A essere promossa sarà una cultura che non ha nulla a che vedere con quella imprigionata nei musei anni addietro, piuttosto sarà qualcosa di diverso, una calcografia del loro essere, una cultura incarnata e non prodotta. Esseri digitali che incoraggeranno rivoluzioni reazionario-mimetiche, che attraverseranno la loro stessa esistenza normalizzando prassi di sfruttamento, invisibilizzazione e morte. La guerra, come asset di sviluppo dell’economia informatizzata, sarà qualcosa che nella sua dimensione infrastrutturale e fisica non esisterà. Le ricerche di DIANA faranno in modo di cancellare i conflitti, o almeno permetteranno di combatterli in totale silenzio. Della guerra non ci si accorgerà, e pur continuando ad assistere al suo spettacolo visuale, fatto di footage rubato e di video-messaggi mossi che circolano su reti e gruppi Telegram, non ne conosceremo l’andamento. Seguiremo piuttosto le stime e ne controlleremo gli indici sui mercati azionari dedicati ai prodotti derivati, molto probabilmente patteggeremo per l’uno o per l’altro con un occhio al nostro personale portafoglio azionario. Insomma, non avremo pace ma una pacificazione, perché laddove non arriva la forza c’è sempre il libero mercato, e se non bastasse beh, c’è sempre la forza.

 

Note bibliografiche

1  Il progetto DIANA è stato concordato al Summit NATO di Bruxelles nel 2021 a margine della definizione dell’agenda di NATO 2030. Successivamente, lo statuto è stato approvato dagli alleati il 7 Aprile 2022, mentre la rete iniziale di test centres e acceleratori è stata definita nell’ambito del Summit NATO di giugno 2022 a Madrid. A dicembre, invece, DIANA ha iniziato a lavorare a un piano di Emerging and Disrupting Technologies (EDTs) in previsione dell’avvio del progetto nel 2023.

2  Dal sito della NATO la lista delle cosidette EDTs risulta essere la seguente: artificial intelligence (AI), data, autonomy, quantumenabled technologies, biotechnology, hypersonic technologies, space, novel materials and manufacturing, and energy and propulsion. https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_184303.htm    [09/01/2023].

3 M. Wark, Il capitale è morto il peggio deve ancora venire (2021), Nero, Roma, p. 62.

4 I selezionatori di DIANA proverranno parimenti dal mondo accademico, dai fondi di venture capital e da un team di esperti del mondo della difesa. La società Egon & Zehnder sarà incaricata di selezionare i curriculum più adatti di questi business angel.

5 https://servizi.comune.torino.it/consiglio/prg/intranet/display.php?doc=A-A202100268:2589  [13/01/2023].

6 https://api.ogrtorino.it/wp-content/uploads/2021/02/codice-etico-OGR-CRT.pdf  [10/01/2023].

7 La candidatura di Torino quale sede di un acceleratore all’interno del programma DIANA è stata appoggiata da una mozione (n 27 del 06/06/2022) presentata dal consigliere comunale della città di Torino Silvio Viale. La mozione ha incassato, su 24 partecipanti al voto, 21 favorevoli, 2 contrari e 1 astenuto (Scheda informativa dell’atto n. mecc. M – 2022 – 12141).

8 M. Acosta, Coronado D., Marin R., “Potential Dual Use of Military Technology: Does Citing Patents Shed Light on this Process?” (2011), in Defence and Peace Economics, n. 22(3), pp., 335-349.

9 Secondo l’ultimo studio statistico disponibile (RAPPORTO ESERCITO 2020) del Ministero della Difesa concernente la composizione dell’Esercito Italiano, si evince che il 71% dei militari italiani proviene dal Sud e dalle Isole. Secondo i dati Istat riguardanti il Pil pro capite in Italia per area geografica nel 2018, si evince invece che il Pil pro capite nel Nordest ha superato i 36 mila euro, quello del Nordovest i 35 mila euro, quello delle regioni del centro 31 mila euro. Al Sud e nelle Isole il Pil procapite nel 2018 era di 19 mila euro, poco più della metà di quello delle regioni del Nord. Fonte: Istat, conti economici territoriali 2016-2018.

10 La sigla indica “formazioni amministrativo-territoriali chiuse”. Nell’Unione Sovietica erano città in cui non era possibile accedere, perché destinate allo sviluppo o alla produzione di armamenti. La più grande è stata la città di Perm negli Urali.

11 James Bridle aveva definito ‹‹The New Aesthetic›› questa prima ondata di cose espressamente digitali, in cui l’imitazione dell’estetica della low resolution e del glitch si associa a oggetti di consumo che sembrano evasi dal mondo digitale per stare in quello reale. J. Bridle, “Waving at the Machines”, in Web Direction, Dicembre 2011.

 

Biografia

Vincenzo Estremo è Ph.D. in film e media studies e lavora come docente di curatela del cinema esposto presso NABA Milano e di teoria dei media presso l’Accademia di Belle Arti di Genova. Ha collaborato con diverse istituzioni museali in Europa tra cui: MaMbo, Van Abbemuseum, Museu Nacional de Arte Contemporânea do Chiado, Salzamt Linz. Ha curato diverse pubblicazioni in lingua inglese tra cui Extended temporalities. Transient visions in the museum and in art (2016) ed è autore di Teoria del lavoro reputazionale (2020).