«Il termine enumerazione (dal lat. enumeratio «enumerazione») fa riferimento a un procedimento discorsivo, comune in ogni tipo di testo, sia scritto che orale, che prevede che un concetto generale venga scomposto nelle sue parti, presentate sotto forma di elenco di parole o di frasi» (Treccani 2010). 

Leo Spitzer, linguista e filosofo austriaco noto per i suoi studi stilistici e di critica letteraria, affermò che l’enumerazione non solo è possibile in ogni testo ma che è antica come il mondo; essa trova le sue radici nei più antichi rituali come possono essere i riti di iniziazione o quelli apotropaici. Nella religione cattolica un esempio di elenco si può ricondurre alla Bibbia con i Dieci Comandamenti di Mosè oppure alle litanie cristiane. L’essere umano per gran parte della sua storia si è avvalso dell’utilizzo dell’elenco in matematica applicata poi in vari campi, dalla statistica all’informatica, passando successivamente dall’enciclopedia alla filosofia, fino alla legislazione. Nel contesto quotidiano, compiliamo una lista per tenere a mente o per aver chiaro le cose già svolte, da fare o comprate; oppure in ambito di studio per chiarire e ordinare concetti complessi. La lista può essere utilizzata per mantenere un ordine, il filo del discorso, i luoghi visitati, le persone decedute, la quantità di specie presenti sulla terra e la demografia di un paese; un elenco di elenchi che potrebbe non finire mai. 

Attraverso un excursus letterario e artistico verrà posto l’accento su un aspetto meno didascalico che caratterizza la lista: vedremo come il concetto di esperienza si leghi alla collezione vernacolare della natura e come essa possa nascondere informazioni personali. Faremo quindi un viaggio dietro le liste e dentro le persone. 

Già dal primo Rinascimento, l’elenco si estende alla letteratura venendo utilizzato dagli scrittori per valorizzare la descrizione e l’argomentazione narrativa; pensiamo all’elenco delle caratteristiche di una persona, di un oggetto, di un paesaggio, perfino dei cibi mangiati o desiderati da un protagonista letterario. In Treccani si specifica che questo tipo di utilizzo nella retorica letteraria è stata ritrovata anche nei Sonetti di Burchiello, in particolare sono stati individuati liste di oggetti ed eventi che non hanno connessioni tematiche uno con l’altro. Solo nel 1945 questo utilizzo viene definito da Spitzer come «enumerazione caotica», dando vita a una nuova figura retorica. 

Il saggio si apre con una citazione dell’atto I scena V in Don Giovanni di Mozart (2005):

 

       Madamina, il catalogo è questo

       delle belle che amò il padron mio;

       un catalogo egli è che ho fatt’io;

       osservate, leggete con me.

5     In Italia seicento e quaranta;

       in Almagna duecento e trentuna;

       cento in Francia, in Turchia novantuna;

       ma in Ispagna son già mille e tre.

       V’han fra queste contadine,

10   cameriere, cittadine,

       v’han contesse, baronesse,

       marchesine, principesse.

       e v’han donne d’ogni grado,

       d’ogni forma, d’ogni età.

15   Nella bionda egli ha l’usanza

       di lodar la gentilezza,

       nella bruna la costanza,

       nella bianca la dolcezza.

       Vuol d’inverno la grassotta,

20   vuol d’estate la magrotta;

       è la grande maestosa,

       la piccina è ognor vezzosa.

       Delle vecchie fa conquista

       pel piacer di porle in lista;

25   ma passion predominante

       è la giovin principiante.

       Non si picca – se sia ricca,

       se sia brutta, se sia bella;

       purché porti la gonnella,

30   voi sapete quel che fa.

  (Mozart, 2005).

 

Leporello accompagna il padrone in cerca di nuove avventure amorose. Durante il cammino incontrano una donna che si rivela essere già stata sedotta e scaricata da Don Giovanni. Leporello, sempre attento e scrupoloso nei confronti delle conquiste del padrone, si avvicina alla donna porgendole la lista da lui creata per convincerla di lasciar perdere Don Giovanni, essendo solo un collezionista impenitente

Scenicamente la lista è un’idea d’impatto, che rafforza il senso del numero collezionato per chi osserva l’opera: pagina dopo pagina si apre a fisarmonica regalando un’apertura sorprendente.

Possiamo affermare che dietro alla lista si nascondono le esperienze interpersonali di ognuno di noi, o che in ogni caso rivelano sicuramente dei tratti di personalità e soggettività di chi le ha composte.

Facendo un balzo nel presente, la lista oggi assume la forma delle playlist e delle archiviazioni di contenuti digitali separati in gruppi, cartelle o profili sui social media. Musica, video, immagini, meme e svariati contenuti possono essere organizzati digitalmente e concettualizzati allo scopo di creare archivi personali o pubblici. Creando un ponte tra ieri e oggi, forse l’aspetto fondamentale che accomuna Leporello a una playlist pubblica condivisa su Spotify è proprio l’esposizione del gusto personale tramite la lista, che assume una funzione astratta e velata di espressione e narrazione del sé attraverso la condivisione pubblica. 

Ritorniamo adesso al passato, e tentiamo in un’ottica archeologica di tracciare una “lista di lista” guardandone le diverse tipologie esistenti nella letteratura e nell’arte.

 

1. Il corpo in lista  

Francois Rabelais (1483 – 1553) fu medico, scrittore e umanista del Rinascimento francese, noto per il celebre romanzo Gargantua e Pantagruel, il quale narra la storia di un gigante partorito da un orecchio e di suo figlio Pantagruel che conquistò il regno di Dipsodi. Le vicende di padre e figlio sono una satira della società francese di quei decenni. Una curiosa caratteristica della scrittura di Rabelais è l’utilizzo dell’elenco all’interno delle sue opere; «[…]enumera per pagine e pagine ben duecento giochi di Gargantua: pigliatutto, mercante in fiera, omo nero, briscola scoperta, scacchi, dama, zecchinetta, birilli, pentolaccia, mosca cieca, rimpiattino, saltasiepe, trottola, morra, cucù, campana, bocce, quintana, ‘zitta gallina la volpe è vicina’, e tanti altri ancora» (Treccani, 2006).

Nel libro quarto, dal capitolo ventinovesimo al trentaduesimo, Pantagruele passa per l’isola di Tapina, dove regnava Quaresimante. Pantagruele, curioso di conoscerlo, viene scoraggiato da Xenomanes, il quale inizia a descrivere in lista il suo aspetto fisico. 

 

Gli alluci, li aveva come una spinetta a canne d’organo. 

Le unghie, come una tinivella.

I piedi, come una chitarra.

I talloni, come un maglio.

La pianta dei piedi, come un crogiolo. 

Le gambe, come un logoro. 

[…] I genitali, come una pialla.

I crematori, come racchette. 

Il perineo, come un piffero. 

[…] La cassa toracica, come una zampogna. 

Le ascelle, come scacchiere.

Le spalle, come una barella. 

[…] Il collo, come una scodella di legno. 

La gola, come un filtro di ippocrasso.

La nocella, come un barile, dal quale perdevano due gozzi di bronzo, assai belli e armoniosi, in forma di clessidra. 

[…] La fronte, come un vaso di terracotta.

Le tempie, come innaffiatoi.

Le guance, come due zoccoli.

[…] L’epidermide, come un crivello. 

I capelli, come una spazzola da scarpe.

Il pelo, come già è stato detto. 

(Rebelais, 1953)

 

Anche nel capitolo precedente a quello citato possiamo individuare un ordine insolito per descrivere una persona; solitamente siamo abituati a considerare l’ordine del corpo umano da testa a piedi. Lo scrittore per enfatizzare l’assurdo e lo straordinario di questo racconto inverte i sensi, inizia a descrivere esteticamente il corpo dai piedi alla testa, fino ad arrivare al punto più esterno, ovvero i peli. Così come quando descrive l’aspetto interiore del regnante, descrivendolo attraverso una lista che incomincia con gli strati più viscerali, come cervello e stomaco, per terminare con caratteristiche immateriali come il desiderio e l’immaginazione. 

Se Rebelais si serve della lista per collocare il corpo in un contesto di satira sociale facendo leva sul grottesco e l’assurdo, il poeta Walt Whitman (1819 – 1892) pone al centro della lista un corpo antropocentrico nell’epoca dei moti rivoluzionari, del positivismo e dell’evoluzionismo. Secondo Whitman parlare di sé come individuo era come riferirsi a una massa indistinta in chiave universalistica.

In Poesie, Io canto il corpo elettrico, Whitman descrive il corpo in un elogio, elencando ogni sua precisa parte per rafforzare lo stretto legame tra corpo e anima. 

 

Testa, collo, capelli, orecchi, lobo e timpano degli orecchi
Occhi, ciglia, iride dell’occhio, sopracciglia, palpebre sveglie o in sonno,
Bocca, lingua, labbra, denti, palato, mascelle e articolazioni delle mascelle,
Naso, narici e setto nasale
Guance, tempie, fronte, mento, gola, nuca, articolazioni del collo
Spalle forti, barba virile, scapola, clavicole, e l’ampia e tonda cassa del torace,
Omero, ascella, gomito, avambraccio, muscoli del braccio, ossa del braccio,
Polso e articolazioni del polso, palma della mano, nocche, pollice, indice, falangi,
unghie delle dita,
Petto spazioso, ricciuti peli del petto, sterno, fianchi del petto,
Costole, ventre, spina dorsale, vertebre,
Anche, alveoli delle anche, forza delle anche, rotondità esterna e interna, testicoli,
verga virile,
Robusto paio di cosce, che bene sostengono il tronco,
Nervi delle gambe, ginocchio, rotula, femore, tibia
Caviglie, collo del piede, alluce, dita del piede, falangi, tallone,
Tutti gli atteggiamenti, tutte le eleganze, tutte le cose che appartengono
al mio corpo, o al tuo, o al corpo d’ognuno, sia maschio che femmina,
Le spugne del polmone, il sacco dello stomaco, le budella tenere e pure,
Il cervello con le sue pieghe a spirale dentro la scatola cranica,
Simpatie, valvole del cuore, valvole del palato, sessualità, maternità,
Femminilità, e tutto quanto è una donna, e l’uomo che proviene dalla donna,
Il grembo, le mammelle, i capezzoli, il latte del seno, le lacrime,
le risa, i lamenti, gli sguardi d’amore, i turbamenti, i trasporti d’amore,
La voce, la pronuncia, il linguaggio, i sussurri, le alte grida,
Cibo, bevanda, polso, digestione, sudore, sonno, camminare, nuotare,
Equilibrarsi sui fianchi, alzarsi, reclinarsi, abbracciare, curvare le braccia, stringere,
I mutamenti continui delle pieghe della bocca, e delle piaghe attorno agli occhi,
La pelle, l’abbronzatura del sole, le efelidi, i peli,
La curiosa attrazione che si prova quando con una mano si tocca la nuda carne del corpo, I fiumi circolari della respirazione, l’inspirazione e l’espirazione,
La bellezza del busto, e dal busto alle anche, e dalle anche sino alle ginocchia,
Le rosse e sottili gelatine dentro di me e dentro di te, le ossa del midollo,
Lo squisita senso di benessere;
Oh, io vi dico che queste non sono soltanto le parti e le poesie del corpo, ma anche dell’anima. 

(Whitman, 1962)

 

2. Luoghi in lista 

Ci sono diversi modi per tenere a mente i luoghi che ci hanno emozionato o cresciuto, i nostri nonni per esempio avevano l’abitudine di scrivere data, ora e luogo dietro alle fotografie in bianco e nero, con quel delizioso e aggraziato corsivo. I loro figli invece si spedivano le cartoline souvenir per condividere con i loro amici i luoghi delle vacanze negli anni Ottanta. La generazione che oggi ha trent’anni ha documentato le gite di scuola con le Kodak usa e getta, mentre gli adolescenti della gen Z riempiono le gallerie di selfie panoramici. Quello che accomuna questi anni è la pratica di un’archiviazione vernacolare che documenta i luoghi vissuti, un elogio ai ricordi legati a territori sconosciuti. In ambito letterario sono molti gli scrittori che hanno utilizzato l’elenco per descrivere luoghi desiderati, immaginati o sognati, come nel caso di Gran Khan in Le città invisibili (Calvino, 2007) oppure le località elencate da Victor Hugo in Novantatré (Hugo, 1984). Analizzando ancora Whitman come maggior esponente dell’enumerazione, facciamo riferimento al suo piacere nell’elencare luoghi su luoghi partendo da quello in cui è nato:  

 

Partendo da Paumanok, l’isola a forma

di pesce dove nacqui,

Ben generato, allevato da una madre perfetta,

Dopo aver vagabondato in molte terre,

amante dei marciapiedi affollati.

[…] Conoscitore del fresco, generoso, fluente

Missouri, del possente Niagara, 

Conoscitore delle mandrie di bufali nei pascoli

in pianura, del toro irsuto dal forte petto,

Esperto di terre, rocce, fiori del Quinto-mes,

di stelle, pioggia e neve, mio stupor, 

[…] Io non oso andar oltre se prima non ho 

riconosciuto, con tutto il rispetto, 

quanto avete lasciato sparso quaggiù;

L’ho esaminato attentamente, l’ho trovato 

ammirevole (standoci un pò in mezzo), 

Penso che niente possa essere più grande, 

niente meriti più di quanto esso merita.

[…] Non scriverò poemi riferendomi a parti, 

Ma scriverò poemi, canti pensieri, riferiti al tutto.

[…] Perché avendo osservato gli oggetti 

dell’universo, non ne ho trovato alcuno, 

né particella di alcuno, che non abbia 

attinenza con l’anima.

[…] Parole di esultanza, parole per le terre

della Democrazia.

Terre collegate, produttrici di cibo!

Terra del ferro e del carbone! Terra dell’oro!

Terra del grano, del manzo, del maiale!

Terra della lana e della canapa!

Terra della mela e dell’uva!

Terra delle pianure da pascolo, campi d’erba

del mondo! Terra di quegli sterminati

altipiani dall’aria profumata!

Terra del gregge, del giardino, della casa

salubre di adobe!

[…] Terra delle grandi donne! La femminile!

le sorelle esperte e le sorelle inesperte!

Terra del lungo respiro! Rinfrescato dall’artico! 

Temperato dalle brezze messicane. (Whitman, 1991, p.34)

 

Attraverso un dolce pensiero della sua isola natale, Whitman racconta di aver viaggiato, di saper riconoscere le caratteristiche di ogni luogo e di aver acquisito competenze in ambito territoriale e naturale. Se Whitman scrive di viaggi lontani per elogiare la sua terra d’origine, George Perec analizza l’effimero presente all’angolo di una strada parigina, esasperando il concetto di luogo familiare con una lista di eventi che sembrano restituire la sensazione di un luogo sconosciuto. Nel 1978, Perec trasmette attraverso una radio ogni accadimento al Carrefour Mabillon a Parigi, per sei ore consecutive. Le parole di Perec sembrano restituire fotograficamente ogni particolare del paesaggio urbano, attento a inseguire la vita, il ritmo e i micro-avvenimenti del luogo, parole riassunte nel testo Tentativo di esaurimento di un luogo parigino (Perec, 2011). 

L’obiettivo del lavoro di Perec fu quello di trovare infinite possibilità di abitare gli ambienti, gli spazi, il mondo, di farli suoi. L’autore stila un inventario delle cose viste al Carrefour Mabillion; si tratta di un esercizio di riappropriazione attraverso lo straniamento, ovvero sentirsi in una città straniera per acquisire un senso e una percezione più autentica del mondo. In cui il nostro vissuto quotidiano può venire a galla ed essere ammirato, elogiato, messo in dubbio e valutato. 

 

3. Per sconfiggere l’oblio – le cose in lista 

Per ogni viaggio che ho fatto, per ogni valigia da fare ho stilato intere liste di cose da portare via, che cambiano in base alla stagione. Ciò che sembra più banale racconta invece di cambiamenti di temperatura, di malanni che si potrebbero prendere, di problemi personali, di itinerari e di comodità: 

Viaggio in camper luglio-agosto: sedie da campeggio, disinfettante, guanti, 2 pacchi di spaghetti, 7 magliette maniche corte, scatolette di tonno, collirio, antistaminico, crema solare, cappellino, posate. Viaggio a Madrid gennaio: antivento, 4 mutande, scarpe che non si bagnano, maglione pesante e leggero, tachipirina, libro, occhiali da sole, borsa piccola, blocco da disegno, matite. 

Un weekend in tenda luglio: coltellino, tenda, sacco a pelo, collirio, frontalino, lucette, legna, pile, costume. 

Poi ci sono le liste dei migliori film che abbiamo visto, quelli che avremmo dovuto vedere e quelli che vorremmo guardare prima o poi. Le liste settimanali della spesa, le liste delle cose da fare al lavoro, le liste dei materiali che possono servire per un’attività, le liste di inventario, le liste di cose che non appartengono a una precisa categoria, le liste dei posti da visitare e le liste dei sogni nel cassetto. Sembra che dal dire al fare non ci sia più di mezzo il mare, ma una lista, e  questa tipologia di enumerazione si trasforma presto in accumulazione. 

Gli oggetti raccontano epoche, funzionalità e tecnologie che ad oggi ci sembrano scontate, ma immaginate una macchina senza tergicristallo oppure la pizza d’asporto senza il cartone. Ci sono poi gli oggetti che raccontano vissuti personali, intere collezioni di oggetti appartenuti alle madri decedute, gli album di famiglia, le fotografie da piccoli e perfino i denti da latte che si trasformano in oggetto reliquia. Ognuno di noi in casa ha una quantità di oggetti che non è quantificabile per esattezza, sappiamo però che nel corso degli anni si accumulano cose di ogni tipo; dalle cartoline alle vecchie videocassette, dalle calamite sui frigoriferi ai cellulari, dai giocattoli d’infanzia agli elenchi telefonici. Già da questa piccola lista si evince il concetto di tempo, di progresso tecnologico, di oggetti vissuti da piccoli che rimandano a precise generazioni. 

Dagli inizi del Novecento le parole legate alla quotidianità si inseriscono nell’ambito artistico, facendo di ciò che è effimero e banale una potente testimonianza del tempo che passa. Come nel caso di artisti che dalla lista di cose passano alla collezione delle stesse, per sottolineare il messaggio che ogni oggetto porta con sé. 

Proprio con gli elenchi telefonici l’artista Christian Boltanski ha creato un’imponente installazione intitolata Les abonnès du télèphone. L’opera riunisce la sua collezione dell’artista di elenchi telefonici internazionali; Albania, Algeria, Australia, Cambogia, Hong Kong, Croazia, Cuba, Grecia, Guinea, India, Iran, Islanda e Italia, per un totale di 2639 elenchi.

Boltanski ha fatto della lista una pratica per salvare la memoria delle cose, dedicando parecchio tempo agli elenchi e trasformando la raccolta da un’ossessione a un potente mezzo espressivo, soffermandosi su aspetti semplici come la vita quotidiana, dove ogni oggetto nasconde una o più storie. Le sue opere diventano collezioni di oggetti trovati, appartenuti a persone defunte; abiti consunti, immagini fotografiche di sconosciuti, messe in scena con scatole di latta, archivi sbilenchi, lampadine fioche. 

Su questa linea, uno dei lavori più affascinanti è Times Capsules di Andy Warhol, delle vere e proprie capsule del tempo che documentano cambiamenti irreversibili e non come morte ed estinzione, attraverso l’accumulo di oggetti della vita di tutti giorni dell’artista. 612 sono le capsule del tempo che l’artista ha raccolto per i posteri, fino alla sua morte nel 1987. 

Hans Peter Feldmann è uno dei maggiori esponenti di questa pratica artistica, impostando tutto il suo lavoro in termini di collezione e ordine. Da cinquant’anni l’artista basa il suo lavoro sulla raccolta di materiale visivo ricavato da giornali, pubblicità, cartoline o album familiari, con cui assembla archivi personali sotto forma di libri e installazioni. Feldmann, nella sua opera intitolata Bilder, raccoglie una moltitudine di immagini in una serie di libri accostandole senza contestualizzarle. Attraverso l’appropriazione di oggetti di tutti i giorni, l’artista riflette sul concetto di collezione, da lui inteso come alternativa a quello conclamato delle aste d’arte. 

 

4. L’effimero in lista 

Che cosa possiamo definire effimero in un’esperienza vissuta? Magari una lista di pranzi e cene degli ultimi sei mesi, un elenco di azioni del tutto irrilevanti svolte durante una giornata, oppure tenere traccia di ogni escursione termica. Potremmo considerare effimero tutto ciò che non riteniamo rilevante per nessuno scopo o studio, ma soddisfacente solamente per il gusto di porre in lista qualsiasi cosa. Per esempio, contare le piastrelle è un’azione piuttosto ossessiva ma sicuramente senza un fine oggettivo; perfino gli elenchi più astratti, come contare le pecore, possiamo considerarli atti effimeri. Sono state create anche liste per documentare azioni precise a posteriori, come nell’opera Card File di Robert Morris, che nel 1962 mise in ordine alfabetico tutti i gesti compiuti per la creazione di un’altra sua opera d’arte. Ci mise cinque mesi, dall’11 luglio al 31 dicembre. Oppure come in Schema di Dan Graham, un inventario in lista delle caratteristiche verbali, fisiche di una pagina dattiloscritta. Anche Richard Serra fece una lista, Verb list, di cento verbi all’infinito per descrivere la sua attività di scultore. I primi tre verbi con cui si apre sono «To roll, to crease, to fold» e si chiude con «Of time, of carbonization, of continue».

In Italia, alla fine degli anni Sessanta, Michelangelo Pistoletto realizza L’uomo nero, il lato insopportabile, un inventario dei pensieri effettivamente irrealizzabili, simboli dell’estremo vitalizio dell’artista. Sempre negli stessi anni Lawrence Weimer dà vita ai suoi Statements, ovvero una liste di intenzioni da portare a termine prima o poi. Pensere/classificare di Perec è poi senza dubbio un inno alla catalogazione, alla nomenclatura ma soprattutto una celebrazione dell’elencazione maniacale, che porta l’autore a creare una seria di liste piuttosto effimere dedicando attenzione minuziosa alla superficie delle cose. L’autore afferma che ogni enumerazione ha due tentazioni: quella di censire TUTTO e quella di dimenticare comunque qualcosa, dunque se da una parte la lista si chiude,dall’altra la si lascia aperta. Si tratta di uno stretto rapporto tra l’esaustivo e l’incompiuto. Secondo Perec, riunire in lista anche le cose più effimere e apparentemente insignificanti significa esistere e vivere una vita piena di storia. Ecco una serie di liste che l’autore ha stilato all’interno di Pensare/classificare: 

1 Tentativo d’inventario degli alimenti solidi e liquidi che ho ingoiato nel corso dell’anno millenovecentosettantaquattro. 

2 Tentativo di inventario provvisorio di alcune delle parole evocate dalla visione dei quadri di Jacques Pol.

3 Tentativo di descrizione di un programma di lavoro per gli anni a venire.

4 Tentativo di saturazione onomastica.

5 Tentativo di inventario di alcune delle cose che sono state trovate nelle scale nel corso degli anni. (Perec, 1989). Tutto ciò che accomuna queste diverse categorie di liste è il rapporto che le cose hanno con le varie esperienze e viceversa. Gli elenchi divengono accumuli di oggetti, gli accumuli si trasformano in collezioni e le collezioni in arte da studiare, la quale testimonia usanze, cambiamenti ma anche ossessioni personali. Per ultimo prendiamo in analisi il lavoro di Tacita Dean, in particolare la collezione come intreccio tra casualità e concentrazione in Clover Collection. Qui l’artista archivia una raccolta di quadrifogli nata per caso quando era piccola esplorando il giardino dei genitori. «Ora il problema con una raccolta è rendersi conto di averne iniziata una. Recentemente ho iniziato, in maniera del tutto involontaria, a collezionare per tema vecchie cartoline» (Dean, 2000).

 

La legge della casualità incontra il gusto bizzarro e appariscente di Breton; l’artista, solito a impossessarsi di ogni oggetto a lui attraente, creò un altare in una stanza del suo appartamento. 

Un osso di balena scolpito, una scatola di cicale mummificate, un amuleto egizio, una maschera Tatanua, un riccio di mare fossilizzato, un dipinto di Joan Miró, una bambola Maya, i sassi del letto di un fiume, un dipinto di Francis Picabia, una maschera Irochese, una scatola di farfalla, per menzionare alcune cose,

La collezione di André Breton è organizzata in modo del tutto stocastico e paradossale, riuscendo a creare quella tanto ambita sensazione di meraviglia nel fruitore. 

Gli oggetti che compongono il muro mappano i viaggi di Breton. Quando tornò da un soggiorno in Messico, il suo bagaglio era zeppo di maschere, ceramiche, cornici decorate, bambole, fischietti, ex-voto, teschi di zucchero, scatole di legno e altri oggetti d’arte popolare. Mentre dall’Oceania portò a casa gli oggetti da lui ritenuti simbolo di un’arte magica, liberatoria, collettiva e mitica. 

Sono cresciuta in una famiglia attenta al bello, amanti degli oggetti di arredo e di design, e studiando in accademia di belle arti ho imparato a capire quali correnti e movimenti mi stessero più a cuore. Chiaramente corrispondono a tutti i riferimenti qui presenti, in particolar modo all’ossessiva ricerca dei surrealisti per gli oggetti straordinari. Crescendo ho iniziato a domandarmi perché non conoscessi le specie di piante, fiori ed erbe spontanee che crescono nel mio territorio, dove vivo e respiro. Non credo serva essere un botanico per potersi interessare a ciò che di vegetale ci circonda, penso sia un sapere equivalente al codice della strada o alle semplici regole valide per i rapporti sociali. Un sapere  che dunque può essere fondamentale per poter rispettare e amare ciò che ci tiene in vita, che coabita con noi in modo strettissimo. Così ho deciso di unire ciò che già conoscevo, ovvero le pratiche di collezione, a questa carenza botanica. La collezione inizia per caso, camminando sul marciapiede ci si accorge di una pigna mai vista e da quel momento sai che collezionerai pigne. Senza nemmeno accorgertene, la curiosità per le specie di pini diventa così coinvolgente da fare invidia a Carlo Linneo. Successivamente inizia un’altra fase del lavoro: revisionare le raccolte per catalogarle in tipologie e specie. Infine c’è la rielaborazione che consiste in una catalogazione basata su differenti criteri che possono spaziare tra i ricordi, i luoghi, le persone e i viaggi. Una volta che il lavoro si mostra in ordine resta solo da scoprirne i segreti, i gusti e il carattere della persona che ha collezionato gli oggetti. 

Nasce così Natura in archivio, come Duchamp mi sono presentata agli “appuntamenti” con gli oggetti, mi sono accorta che nella natura, per terra, trovavo qualcosa di estremamente attraente. Una foglia caduta per fare spazio a quella nuova poteva salvarsi dalla decomposizione nel mio dizionario. Così come le pigne, le piume, le chiocciole delle lumache, i sassi e molto altro potevano “vivere” più a lungo e custodire le mie tracce quotidiane. Natura in archivio è strutturato sotto forma di lista, in cui in ognuna di esse si sviluppa una o più sotto liste;

 

  1. La natura dei marciapiedi

In questo primo punto, le pigne, oltre a tracciare luoghi e tempi di raccolta, prendono vita in sensazioni visive, tattili e segniche. Ogni elaborazione è sviluppata sotto forma di elenco e una è concatenata all’altra.

 

 

  1. La natura tra le pagine 

Qui le foglie in archivio svelano una cronologia di raccolta ma soprattutto dei testi letti negli stessi periodi. In questo caso una pratica di archivio svela i periodi vissuti attraverso i diversi titoli dei libri.

 

 

  1. La natura dei sentieri sbavati 

In questo numero le chiocciole mi interrogano al tal punto da chiedermi che fine avessero fatto, stilando così una lista di ipotesi. I disegni sono un tentativo di riprodurre un cammino immaginario, concentrico o labirintico, di sicuro sbavato, di queste chiocciole.

 

 

  1. La natura delle cadute 

Nelle piume trovo un potere estremamente evocativo, non servono parole per descriverle, così mi sono limitata a riconoscere i loro proprietari e cosa stessero facendo o provando nel momento in cui le hanno perse a terra.

 

 

Ecco che una semplice raccolta, custodia e collezione mi hanno permesso di conoscere la natura ma anche di sviluppare dei pensieri trasversali e immaginari. Un po’ come Edward della famiglia List (Maclear, 2016), che non si sofferma sulle liste materiali ma si interroga sul senso della vita, da dove veniamo, se tutti vediamo gli stessi colori e da dove vengono i pensieri. 

 

E TU COSA METTI IN LISTA?

Come per il primo episodio, se vuoi puoi condividere le tue liste, ogni tipo di elenco.

Puoi caricare le tue liste qui: https://padlet.com/viganotessa/la-realt-il-frutto-di-incontri-ordinari-qrp2v87fp2gvj179

Puoi inserire il tuo nome o rimanere nell’anonimato, a tua scelta puoi specificare il luogo da cui proviene un oggetto o raccontare la sua storia, oppure inventare tutto, puoi conoscere altre persone e condividere le tue liste, o tenerle per te.

 

Bibliografia

Baldacci C. (2016), Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea, Johan & Levi, Milano;

Calvino I. (2007), Le città invisibili, Mondadori, Milano;

Grazioli E. (2018), La collezione come forma d’arte, Johan & Levi, Milano;

Hugo V. (1984), Novantatré, Mondadori, Milano; 

Macler K. (2016), La famiglia Lista, Rizzoli, Milano;

Perec G. (1994), L’infra-ordinario, Boringhieri, Torino;

Perec G. (1989), Pensare/classificare, Rizzoli, Milano; 

Perec G. (2013), Mi ricordo, Bollati Boringhieri, Torino;

Perec G. (2011), Tentativo di esaurimento di un luogo parigino, Voland, Roma;

Rabelais F. (1973), Gargantua e Pantagruel, Einaudi, Milano.

Whitman W. (1962) Poesie, a cura di R. Sanesi, Nuova Accademia, Milano;

Whitman W. (2004), Foglie d’erba, Rizzoli, Milano;

Wolfgang Amadeus /Mozart (2005), Don Giovanni, La Repubblica, Roma. 

 

Biografia

Tessa Viganò è nata e vive in provincia di Monza e Brianza; è artista e docente di grafica in un liceo artistico. Si è laureata in pittura e fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera e successivamente ha seguito un corso master in educazione in natura in Bicocca. La sua ricerca in ambito artistico si sviluppa attorno al concetto chiave di desiderio, un desiderio che produce curiosità e conduce a mondi altri, in cui è possibile immaginare soluzioni alternative di coabitazione.