L’opera dell’artista Mitikafe ricostruisce attraverso un desktop affollato la morte inaspettata di una camgirl che tutti pensavano di conoscere, ma che nessuno conosceva davvero.

 

Il cortometraggio About Ayumi racconta, attraverso frammenti di immagini, conversazioni e pensieri,  un’indagine digitale sulla scomparsa improvvisa della camgirl Ayumi. Il suo destino è ricostruito attraverso le parole e i ricordi dei suoi clienti più affezionati. In quest’attività di reminiscenza collettiva, dal mistero riaffiorano schegge della sua personalità. Ayumi si metteva continuamente in mostra, ma nessuno la conosceva davvero. Durante gli incontri, alcuni brevi, altri più lunghi, alcuni superficialmente limitati a una semplice “transazione”, altri ancora più intensi e intimi, capitava che Ayumi sollevasse il velo attorno al suo personaggio, quel tanto che bastava per rivelare dei frammenti di se stessa, come quella volta in cui condivise un ricordo felice di un pomeriggio d’infanzia trascorso a giocare con una rana. 

Ayumi è un personaggio fittizio, ma il film non ha una sceneggiatura: tutta la narrazione è stata affidata ai sette attori che impersonano i suoi clienti. La bellezza di quest’opera risiede nell’intricata stratificazione di interpretazione e narrazione. Attraverso questo meccanismo, Ayumi diviene una creazione postuma, la combinazione dei desideri, pensieri e pregiudizi dei suoi creatori. L’indagine sulla vita segreta e sulla scomparsa di una camgirl diventa il pretesto per avventurarsi nel profondo delle rivelazioni involontarie sull’intimità online. L’intero film è stato registrato su un desktop colmo di finestre che si aprono e si chiudono in continuazione, un racconto visuale costruito attraverso  idee veloci,pensieri passeggeri e interazioni fugaci,  restituiti allo spettatore attraverso l’estetica superficiale del web, che rimanda al carattere disarticolato e superficiale degli incontri online. Immagini e componenti digitali hanno vita breve, in contrasto con le confessioni e le parole degli attori che invece invitano a riflessioni più attente e durature.

 

«Era una persona molto triste. Aveva un sacco di cose da dire e le diceva a fiume, senza remore.»

 

Ayumi è raccontata come una persona solitaria, timida, irrequieta, bisognosa d’amore e di soldi. Ascoltava e capiva le persone, ma lei veniva ascoltata a sua volta? Questo tentativo di delineare la sua identità fumosa attraverso gli occhi e la percezione altrui si scontra con il tentativo di controllo sulla narrazione del sé esercitato attraverso la nostra identità digitale. In un gioco di rimbalzi, tra sfera pubblica e privata, almeno in teoria abbiamo il controllo su   cosa e quanto mostrare di noi stessi al mondo. Pensare che qualcuno potesse veramente conoscere Ayumi in base alle  interazioni a pagamento da lei offerte  risulta paradossale. Se nella prima era del web eravamo  abituati all’Internet dell’anonimato, in cui ognuno poteva incarnare identità o comportamenti anche totalmente slegati da quelli della vita reale, progressivamente ci siamo adattati  a un Internet opposto, quello della fama e del riconoscimento, fondato sul «valore di autenticità» (Trojano, 2022). Dobbiamo credere nell’allineamento perfetto tra mondo offline e online, nella coincidenza tra come siamo e come ci mostriamo, anche se si tratta di una coincidenza apparente e superficiale. 

La maggior parte delle testimonianze dei clienti di Ayumi suggeriscono una loro ricerca di intimità: spinti dalla solitudine e dalla necessità di sentire una vicinanza intima con qualcuno, ciò che ottengono davvero è la soddisfazione dei propri bisogni e desideri. Non si tratta di una relazione di reciprocità. In questo caso è evidente: una persona paga un’altra per passare del tempo insieme chattando o per qualche forma di interazione sessuale mediata da uno schermo. Questo è probabilmente l’esempio più esplicitamente sbilanciato, ma le parole degli attori ci suggeriscono che le motivazioni che spingono a ricercare e creare relazioni intime online siano comunque volte all’appagamento di un bisogno personale. L’architettura di certi spazi digitali, come le app di dating o le sexrooms online, in cui «un sé privato è visibile e mostrato pubblicamente a un pubblico astratto e anonimo» (Illouz, 2007, p. 78, trad. mia), aiuta a mantenere questo consumo di intimità a senso unico.

Da qui appunto il paradosso di pensare di conoscere davvero Ayumi, che si proteggeva dal giudizio di chi poteva conoscerla davvero e che, in fondo, stava semplicemente lavorando. Un espediente efficace per i performer online – e qui mi riferisco a chi lavora attraverso il mantenimento di una certa personalità sulle piattaforme, oltre a chi pratica sex work – è proprio la creazione di un senso di intimità, il coinvolgimento del “cliente” in una dimensione speciale, di vicinanza, che è però totalmente fittizia (Cardoso, Chronaki e Scarcelli in Krijken et. al., 2022, p. 173).

 

«Is it possible to love a computer? – No.»

 

Internet viene spesso descritto come una «tecnologia disincarnata» (Illouz, 2007, p. 75) ed esclude la possibilità di contatto fisico reciproco. Benché tecnicamente sia attualmente impossibile sostituire la complessità o l’organicità di un rapporto fisico se non attraverso difettose e scomode sperimentazioni, questo film mostra come l’operazione mimetica della vicinanza può avvenire in maniera molto più sottile; i clienti qui non fanno uso delle piattaforme come semplice rimedio alla solitudine, ma cercano qualcosa di più: «Non ero semplicemente interessato a conoscerla, volevo vederla» dice uno degli attori. 

Nella condizione attuale, però, la nostra relazione con il mondo è stata «dis-erotizzata» ovvero spogliata della «intensità carnale dell’esperienza» (Berardi, 2023, trad. mia). Succede quindi che il rapporto mediato diventa rapporto diretto e quasi esclusivo con il dispositivo stesso. Dal nostro corpo i dispositivi si estendono fino a divenire veri e propri amanti e amici. Li vediamo ormai come «oggetti magici, affettivi, preziosi e sessuali» (da una conversazione con l’artista, 2022). Mitikafe riversa nel film questo aspetto, centrale alla sua pratica artistica, utilizzando gli screenshot e la ripresa del desktop come se fossero il punto di vista del pc.

About Ayumi evidenzia i paradossi contemporanei di Internet. Pur essendo una tecnologia immateriale, da un lato facilita una sorta di reificazione e mercificazione dei soggetti, impoverendo la sensibilità e la consapevolezza emotiva utile a creare relazioni profonde e durature (Illouz, 2007); dall’altro, Internet può essere utilizzato come strumento di empowerment e di esplorazione identitaria, in grado di sfidare le norme patriarcali del «mainstream offline», secondo la prospettiva cyberfemminista (Russell, 2020).

 

«Is this the future that we want?»

 

A un certo punto, più o meno a metà del film, sul desktop affollato appare brevemente una scritta: «Ayumi è reale? La vita su Internet è reale?» Sembrerebbe un pensiero effimero, di poca importanza, magari originato da un momento di frustrazione per le indagini poco concludenti sul destino della camgirl, ma in realtà apre a un lungo dibattito che si svolge da tempo sia tra teorici e intellettuali, sia tra gli stessi utenti di Internet. La vita virtuale, ossia qualsiasi interazione tra due esseri umani che avvenga tramite qualche attività su una piattaforma digitale, si può considerare reale in quanto «stiamo condividendo uno spazio, interagendo in tempo reale e scambiando pensieri reali» (Trojano, 2022). La questione si complica nel caso in cui a interagire dall’altro lato del dispositivo ci sia un’intelligenza artificiale, ma ciò dimostra che, a prescindere dalla natura dell’interlocutore, l’interazione produrrà qualche effetto sulla parte umana, trasferendo tutta l’attività su un nuovo piano di realtà. 

La realtà della vita su Internet e la sua inestricabilità da quella offline alimenta il circolo vizioso dell’isolamento individuale:  i dispositivi instillano un senso di solitudine profondo nelle persone, che tenteranno di sopperire cercando pezzi d’intimità attraverso i dispositivi stessi. Questo tipo di intimità apparente, mediata e dis-erotizzata, una sorta di «pornografia one-on-one» (Jacoby, in McHugh, 2014) si presenta in una forma più razionale e gestibile, non provoca emozioni troppo forti e non sconvolge le nostre vite (Turkle, 2011, p. 10). 

Mitikafe riesce a sottolineare che l’utopica pretesa di poter creare relazioni a rischio zero è destinata a rimanere tale, un’utopia presuntuosa, poiché dopotutto non esistono relazioni prive di rischi. La rivelazione finale sull’assassinio di Ayumi per mano di un ex cliente diventato stalker, inserisce il film in un più ampio contesto di critica a una società di stampo patriarcale e che affonda le sue radici nella cultura dello stupro. Questo ci mostra come la mediazione dei dispositivi non ci protegge mai del tutto, ma è reale e incide sulla dimensione fisica (Trojano, 2022). Tutto ciò va oltre la questione dell’autenticità delle relazioni online e dei legami emotivi genuini che si possono o meno creare nonostante/grazie alla mediazione tecnologica, mettendo in luce la necessità di consapevolezza dei limiti protettivi dello schermo.  

 

About Ayumi and the paradox of online intimacy.

 

Mitikafe’s work reconstructs a camgirl’s unexpected disappearance on a busy desktop. Everyone thought they knew her, but no one really did.

 

The short film About Ayumi shows fragments of a digital investigation on the sudden disappearance of the camgirl Ayumi. Her destiny is pieced together through the words and memories uttered by her most loyal clients. In this act of collective recollection, shards of her personality resurface from mystery. Ayumi was constantly showing herself, but no one succeeded in grasping who she really was. Sometimes during the meetings – some of which were short, others longer, some were limited to a superficial “transaction”, others were more intimate and intense – Ayumi would lift the veil off her character just about enough to reveal a sliver of her true self. Like that time when she shared a happy childhood memory of an afternoon she spent playing with a frog.

 Ayumi is a fictional character, but the film does not run on a script: the narration was left in the hands of seven actors impersonating her clients. The beauty of this work resides in this intricate stratification of interpretation and narrative. Ayumi is a posthumous creation, the combination of her creators’ desires, thoughts and prejudices. The investigation on a camgirl’s secret life and death becomes a pretext to wade into the depths of involuntary revelations of human beings and their connection to online intimacy. The film is a screen recording of a jam-packed desktop where windows continuously open and close like quick ideas and thoughts passing through. This aesthetic choice visually incarnates the disconnected and superficial quality of online encounters. Images and other digital components usually live a fast life, in contrast with the actors’ confessions, their words inviting more focussed, long-lasting reflections.

 

«She was very sad. She had a lot to say and words would flow out of her mouth without hesitation.»

 

Ayumi is described as a solitary, shy, restless being, in need of love and money. She listened and understood people, but did people listen to her? This attempt to retrace her smoky personality through the eyes and perception of others clashes with the control on self-narration we exert today with our digital identity. In an interplay of public and private spheres, we can choose what to show of ourselves to the world and how to do it. To think that anyone could truly get to know Ayumi just by the interactions she would sell is simply paradoxical. First, we became acquainted with the Internet of anonymity, where anyone could embody any kind of identity and behaviour, even the ones furthest away from reality; then, we progressively became used to the opposite, the Internet of fame and recognition, where authenticity is its biggest value (Trojano, 2022). We have to believe in the perfect alignment of offline and online worlds, in the overlap of how we are and how we present ourselves, even if this overlap is an illusory and superficial coincidence.

 The majority of Ayumi’s clients’ testimonies point to their research of intimacy. Pushed by loneliness and by the necessity to feel close to someone else, what they really achieve is the fulfilment of their own needs and desires. It was never about a reciprocal relationship. In this case it is obvious: a person pays another person to spend some time chatting together or to engage in some form of screen-mediated sexual interaction. This is probably the most explicitly imbalanced example, but the actors’ words suggest that what motivates an individual to seek and entertain online intimate relations is nonetheless the satisfaction of personal needs. The architecture of certain digital spaces, like dating apps or online sexrooms, «makes the private self visible and publicly displayed to an abstract and anonymous audience» (Illouz, 2007, p. 78), contributing to keep this one-way consumption of intimacy going.

 Hence the paradox: to think of knowing Ayumi, while she was trying to protect herself from the judgement of those who could meet her in her daily life and, after all, was just working. An effective “trick” for online performers – meaning those whose occupation is concerned with the maintaining of a character or persona on social platforms, as well as sex workers per se – is the creation of a sense of intimacy, making the client feel involved in a special connection, which, however, remains entirely fictitious (Cardoso, Chronaki and Scarcelli in Krijnen et. al., 2022, p. 173).

 

         «Is it possible to love a computer? – No.»

 

Internet is often described as a «disembodying technology» (Illouz, 2007, p. 75) and it excludes any possibility of mutual physical contact. Even if technically it is now impossible to substitute the complexity and organic nature of physical relations –  other than with flawed and uncomfortable experimentations – this film shows how the memetic operation of finding proximity can happen more subtly; Ayumi’s clients do not resort to platforms only as remedies to loneliness, rather they look for something more: «I wasn’t simply interested in knowing her, I wanted to see her» says one of the actors.

 However, in the present condition our relation to the world has been dis-erotizised, stripped of the «fleshy intensity of experience» (Berardi, 2023): the mediated relationship becomes a direct, almost exclusive, relationship to the device itself. From our bodies, devices extend and become lovers and friends. We see them as «magic, affective, precious and sexual objects» (from a conversation with the artist, 2022). Mitikafe brings this aspect from the centre of her practice into the film, using screenshots and desktop-recording to embody the point of view of her laptop.

 About Ayumi highlights the contemporary paradoxes of the Internet. While being an immaterial technology, on one hand it facilitates a process of reification and commodification of the subjects, depriving them of the sensibility and emotional abilities they need to create meaningful relationships (Illouz, 2007). On the other hand, Internet can be employed as a tool for empowerment and identity exploration, to challenge the patriarchal normativity of the «offline mainstream», according to a cyberfeminist perspective (Russell, 2020).

 

         «Is this the future that we want?»

 

At some point, more or less midway through the film, on the crowded desktop two questions briefly appear: «Is Ayumi real? Is Internet life real?» It might seem like a fleeting thought of little importance, maybe a product of frustration for the inconclusive investigation on the camgirl’s fate, but after a closer look, these questions open up to a rich debate among theorists, intellectuals and Internet users alike. Virtual life – or, any kind of interaction between two human beings that takes place on a digital platform – can be considered real, for we are sharing a space, interacting in real time and exchanging real thoughts (Trojano, 2022). The matter is complicated when on the other side of the device there is an artificial intelligence, but regardless of the nature of the interlocutor, the interaction will produce some kind of effect on the human part, transposing the whole activity on the level of reality.

 Once the realness of life on the Internet and its inextricability from offline life has been ascertained, what is left is the vicious circle of devices that instil a deep loneliness in people who, in their turn, look for intimacy through these same devices. This illusory intimacy, mediated and dis-erotizised, a kind of «one-on-one pornography» (Jacoby, in McHugh, 2014), appears as a more rational version of itself, that is easier to manage, does not provoke highly intense emotions and is undisruptive to our lives (Turkle, 2011, p. 10).

 Mitikafe succeeds in highlighting how the utopian pretence to create risk-free relationships is destined to remain such, a pretentious utopia, because no relationship can truly be without any risk. The final revelation that Ayumi’s murder was committed at the hands of a former client-turned-stalker inserts the film in the broader critical discourse on a patriarchal society rooted in rape culture. The mediation of devices cannot protect us fully, but it is however to be considered real and equally impacts the physical dimension (Trojano, 2022). All this goes well beyond the issue of authenticity of online relationships and whether or not it is possible to create genuine emotional bonds despite/thanks to technological mediation, shedding light on the need for more consciousness about the safety limits of the screen.

 

Bibliografia/Bibliography

Berardi, F. (2023), “Hyper-Semiotization and De-Sexualization of Desire: on Félix Guattari”, e-flux #133. Disponibile su: https://www.e-flux.com/journal/133/514287/hyper-semiotization-and-de-sexualization-of-desire-on-flix-guattari/

Illouz, E. (2007), Cold Intimacies: the. Making of Emotional Capitalism. Polity, Cambridge.

Krijnen, T., Nixon, P.G., Ravenscroft, M.D. e Scarcelli, C.M. (a cura di). (2022), Identities and Intimacies on Social Media: Transnational Perspectives. Routledge. https://doi.org/10.4324/9781003250982.

McHugh, G. (2014), “The Context of the Digital: A Brief Inquiry Into Online Relationships”, in Kholeif, O. (a cura di). You Are Here –– Art After the Internet. Cornerhouse, Manchester.

Russell, L. (2020), Glitch Feminism. Edizione Digitale. Verso, New York. 

Trojano, G. (2022), “È possibile farla franca con i meta-abusi?”, KABUL Magazine, CAOS – Parte II. Disponibile su: https://www.kabulmagazine.com/e-possibile-farla-franca-con-i-meta-abusi/.

Turkle, S. (2011), Alone Together: why we expect more from technology and less from each other. Basic Books, New York.

 

Biografia

Jael Arazi è una curatrice e creativa originaria di Milano. Dopo essersi diplomata in Pittura e Arti Visive alla NABA di Milano, si è trasferita a Londra, dove ha conseguito un MFA in Curating alla Goldsmiths University. È co-curatrice del progetto multidisciplinare In Lucid Dreams We Dance, sostenuto dall’Italian Council (2022), che comprende un programma di eventi e la pubblicazione di una zine sui temi della condivisione, senso d’appartenenza ed elementi rituali nel contesto fisico e relazionale del club e della musica elettronica. La sua pratica curatoriale si posiziona sulla sottile linea che separa la realtà fisica da quella digitale, analizzandone i risvolti sociali e le potenzialità politiche, con un particolare interesse per le ricerche artistiche audiovisive. Ha curato mostre sperimentali a Londra (2021-2022) e un programma di screening online sulla piattaforma Covideo (2021).